Nel 2018 venni contattato dal beneventano Alessandro Caporaso, all’epoca studente universitario in scienze geografiche alla Sapienza di Roma, per un’intervista da inserire nella sua tesi di laurea sulle problematiche delle aree interne, in particolare modo del Fortore. Dopo quattro anni, in cui tante cose sono successe e cambiate, ho deciso di pubblicarla sul mio blog, sperando che apra una seria riflessione sul futuro dei nostri paesi.
Ecco il testo integrale
Intervista ad Antonio Bianco, giornalista, scrittore e esperto di storia del Fortore.
Analizzando i dati demografici Istat della provincia di Benevento, emerge come negli ultimi 35 anni (dall'82 al 2017) l'intero Sannio stia attraversando una fase negativa a livello demografico. Secondo il suo parere, è un dato che va di pari passo con le problematiche della Nazione (quindi una natalità pari a zero ed un invecchiamento massiccio della popolazione con tassi di mortalità superiori alle nascite), oppure vi sono altri fattori che si celano dietro tale problematica?
«In parte
sì, ma a mio avviso la dinamica demografica dell’intero Sannio va inquadrata in
quella più generale dell’emigrazione che investe soprattutto il Sud. Le cause di
questo nuovo esodo vanno ricercate soprattutto in due fattori: la grande crisi
economica che ha investito l’Italia dal 2008 e il taglio dei trasferimenti
statali alle regioni meridionali. Un mix di fattori che sta trasformando il
nostro territorio, e soprattutto le aree interne, in un deserto demografico,
spingendo migliaia di nostri concittadini a trasferirsi altrove.
Altro dato particolare ed analogo, risulta essere il calo
demografico constante del capoluogo di provincia Benevento. Esso, rispetto agli
altri quattro della Regione, quali: Napoli, Salerno, Caserta e Avellino,
presenta un calo demografico evidente negli ultimi trentacinque anni. Ciò
sorprende, in quanto Benevento dovrebbe essere il principale polo di attrazione
all'interno della Provincia, rappresentando un'alternativa per quelle aree
interne maggiormente isolate. Come si spiega questa controtendenza del
capoluogo Benevento?
«Gli ultimi dati Istat
sono impietosi: il capoluogo Benevento ha un saldo negativo di circa 1.300
persone, scendendo sotto i 60mila abitanti, con una perdita del 2 per cento
della popolazione. Mentre le altre province della Campania, anche se di poco,
risultano avere un saldo positivo. Sicuramente questa performance negativa è
dovuta ad un sistema produttivo storicamente più debole rispetto agli altri
capoluoghi della Campania, ma soprattutto ad una carenza di infrastrutture
(materiali e immateriali) che penalizzano il capoluogo di provincia. Questi
fattori fanno sì che la città di Benevento sia poco attrattiva per chi cerca un
lavoro o nuovi stili di vita, preferendo spostarsi nel nord Italia o nei Paesi
del nord Europa.
Evidenziato il problema del capoluogo Benevento, vorrei
soffermarmi sulle zone maggiormente interessate dallo spopolamento: il
Tammaro-Titerno e in modo particolare il Fortore. In alcuni paesi come
Montefalcone o Castelvetere, la popolazione, in
trentacinque anni, si è quasi addirittura dimezzata. Tutto ciò come ha
modificato l'assetto della società e quanto ha inciso su di essa e
sull'economia della zona?
«Sì, in effetti, i comuni che lei ha citato rischiano addirittura la
morte demografica. Cioè rischiano, entro venti/trenta anni di diventare delle
gosht town, dei paesi fantasmi. Oggi questi comuni hanno una popolazione che si
attesta intorno ai mille abitanti. Diventa chiaro che un calo della popolazione
significhi meno reddito, meno consumi e meno servizi. Si pensi all’agricoltura,
che fino a qualche anno fa, insieme alle rimesse degli emigranti, aveva
garantito un tamponamento allo spopolamento di queste zone. Oggi l’abbandono
delle terre – anche se ci sono piccoli segnali di inversione del fenomeno – contribuisce al loro impoverimento socioeconomico.
Questo spopolamento ha comportato anche una perdita di
tradizioni culturali e caratteristiche sociali di questi luoghi?
«Più che lo spopolamento,
l’impoverimento culturale di queste aree è dovuto soprattutto alle grandi
trasformazioni sociali avvenute negli ultimi trent’anni, con l’avvio della
cosiddetta globalizzazione, che ha imposto il suo pensiero unico. Ad aver
cambiato l’identità di questi popoli è stato soprattutto l’avvento -
parafrasando il sociologo Bauman - dell’homo consumens. In un suo libro il
paesologo e poeta Franco Arminio fa notare come oggi nelle abitazioni dei
piccoli paesi ci siano tutti i tipi di comfort: tv, play station, telefonini,
eccetera. Sembra lontanissima quella miseria che toccavi con mano fino agli
anni 70, eppure oggi se giri per queste realtà, tranne durante l’estate, quando
ancora ritorna qualche emigrante, non vedi nessuno, sembrano borghi fantasma.
Questa è la grande contraddizione di oggi: i giovani hanno tutti i mezzi per
informarsi, ma non conosco la propria storia, da dove vengono, qual è la loro
origine, ed è questo non conoscere il passato che annulla l’identità e la
propria cultura».
Anche lei come molte persone della sua zona ha lasciato
il paese di origine per emigrare fuori Regione: è stata una scelta volontaria o
forzata?
«Tutt’e due. Diciamo che
è stata scelta volontaria quando da giovane, e con la voglia di scoprire il
mondo, mi sono trasferito a Roma per studiare alla Sapienza. Forzata poiché
dopo alcuni anni che sono rientrato a Baselice, per motivi familiari e di
lavoro mi sono dovuto ritrasferire in un’altra città del Lazio. Tuttavia, mi
ritengo fortunato poiché non mi sono allontanato troppo dalla mia terra, con la
quale ho un legame profondo e viscerale».
Quali sono i principali motivi della fuga dal Fortore?
«Le principali
motivazioni restano senza dubbio la mancanza di lavoro e la crisi economica che
ha investito in modo drammatico quel poco di economia produttiva che esisteva
nel Fortore. Negli ultimi anni ho visto partire intere famiglie, padri
(quarantenni/cinquantenni) che hanno perso il lavoro o hanno chiuso la propria
attività e sono stati costretti ad emigrare in Svizzera o Germania. Se si
percorrono le vie di questi borghi si possono notare decine di case con affissi
cartelli con su scritto: “Vendesi”. Tutto ciò è un fatto drammatico che ha
impoverito socialmente ed economicamente queste micro-realtà. Non solo. Ormai
l’offerta di lavoro è pari quasi allo zero e i giovani, soprattutto quelli con
un titolo di studio, sono costretti a andare via anche loro, come dimostrano
sempre gli ultimi dati statistici».
Il Fortore è anche un'area della provincia di Benevento
avente numerose eccellenze gastronomiche e dolciarie. Potrebbe far leva su
questi pilastri culinari per tamponare all'esodo soprattutto giovanile?
«Certo, non tutto è
perduto. Abbiamo poli di eccellenza, come il distretto dolciario di San Marco
dei Cavoti, abbiamo prodotti di qualità come il rinomato Moscato di Baselice,
il cece nero di Montefalcone. Ci sono giovani che stanno tornando alla terra,
alla produzione di eccellenze come il recupero di grani antichi, alla
riscoperta di prodotti agricoli autoctoni. Questi sono alcuni esempi di come la terra inizia ad essere di nuovo appetibile
da parte dei giovani, ma resta chiaro che questa piccola imprenditoria ha
bisogno di fare rete sociale e di essere supportata delle istituzioni».
Quanto pesa nello spopolamento di queste aree la carenza
di infrastrutture adeguate e reti stradali percorribili in maniera agevole?
«Pesano molto, ma non
sono la causa determinante. Oggi le strade del Fortore sono disastrate,
impraticabili e sicuramente non aiutano alla mobilità: non aiutano a chi vuole
fare impresa, chi per diverse ragioni deve recarsi nel capoluogo di provincia,
tuttavia penso che lo spopolamento sia dovuto principalmente alle cause che
abbiamo individuato prima. Per fare uscire dall’isolamento queste zone ci
vorrebbe un vero piano Marshall per i piccoli comuni, tantoché nemmeno i grossi
investimenti privati nell’eolico sono riusciti a tamponare lo spopolamento.
Tuttavia, una speranza per invertire la rotta potrebbe arrivare
dall’integrazione dei migranti in queste comunità, penso al caso di
Castelfranco in Miscano, un paese di circa seicento anime, che attraverso il
sistema di accoglienza Sprar, ha visto accrescere la sua popolazione di una
quindicina di unità, che per una realtà piccola non è poco».
Come vede il futuro delle aree interne sannite ed in
particolar modo del Fortore?
«Il Fortore è stato
classificato come l’area più povera d’Italia. Ed appartiene ad una delle
province più depauperate del Paese. Ripeto, in un momento storico in cui i
governi non fanno più investimenti in queste aree e dove le politiche di
austerity hanno imposto i famigerati patti di stabilità, non voglio essere
catastrofista, ma vedo un futuro drammatico. A mio avviso riusciranno a
sopravvivere solo quelle comunità che avranno la capacità di adattarsi alle
nuove sfide e avranno a capo sindaci e amministratori che sapranno mettere in campo
idee innovative e non farsi coinvolgere in politiche clientelari, che sono
state alla base dell’arretratezza, non solo del Fortore, ma dell’intero Sud».
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