di Antonio Santoriello
Sono passati settanta anni dal Patto stipulato tra l’Italia
e il Belgio, il 23 giugno 1946, che aprì la strada alla volta di questa nazione
di migliaia di italiani. L’Italia si impegnava a fornire 2mila operai alla
settimana, forza lavoro impiegata prevalentemente nell’estrazione del carbone.
Sicilia, in testa, e poi Puglia, Abruzzo, Campania, Veneto,
Marche, Molise furono le regioni in cui più alto fu il flusso migratorio verso
la regione della Vallonia, dove erano concentrate le miniere carbonifere. Non
servì neanche la tragedia di Marcinelle, miniera nella quale persero la vita
136 italiani (7 i molisani), a fare desistere i nostri connazionali dal
lasciare l’Italia, tanta era la fame di lavoro.
Un flusso che continuò per
tutti gli anni Cinquanta e per buona parte dei Sessanta.
Oggi, in Belgio, sono stimati quasi 300.000 abitanti di
origine italiana e oltre 200.000 di essi sono iscritti all’AIRE (l’Anagrafe
degli italiani residenti all’estero), tale da rappresentare per presenza la
prima comunità straniera del paese.
Anche Riccia ha avuto la sua parte in questa emigrazione.
Gli iscritti all’AIRE sono 102, ma sono molti di più quelli stabilitisi in
Belgio. La comunità più estesa si trova nella cittadina di Chapelle Lez
Herlaimont, e rappresenta il 60% circa dei nostri concittadini residenti. Molti
di loro hanno la doppia cittadinanza, tutti quanti sono ormai perfettamente
integrati nel paese che li ha accolti.
Di ciò si parlerà domenica 23 nella sala del consiglio
comunale di Riccia. Lo faranno lo storico Francesco Marino e il segretario
generale dei minatori del Belgio, Italo Rodomonti, che giunge proprio da
Chapelle. Sarà possibile visitare una mostra fotografica e verrà proiettato un
film documentario.
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