(Foto: Andrea Coduti) |
Pubblichiamo integralmente l’appassionato intervento della
rappresentante d’Istituto del liceo scientifico “E. Medi” di San Bartolomeo,
Maria Picciuto, pronunciato in occasione del corteo rievocativo della Marcia
della fame del 1957 svoltosi venerdì scorso, 14
aprile
“Buongiorno a tutti, oggi siamo qui insieme a ricordare quel
che è successo esattamente 60 anni fa, ma soprattutto a rivendicare i nostri
diritti e a ricordare alla nostra Regione e a tutta l'Italia che noi del
Fortore ci siamo e non ce ne andremo.
Quando ho pensato al mio paese e ai miei compaesani, ho
pensato subito ad un termine: abitudine.
Ogni ragazzo che vive in questa terrà è costretto ad
abituarsi, è importante riflettere su questo fenomeno. E' imbarazzante la
facilità con la quale ognuno di noi, dal più grande al più piccolo, riesca ad
abituarsi a questa monotonia così facilmente. Non abbiamo perso tempo ad
abituarci al non avere nulla.
Ci siamo abituati alle nostre strade, ci siamo
abituati al nostro ospedale, se così si può chiamare, abituandoci così tanto
alla sua silenziosa presenza da non accorgerci che è diventata l'opera
incompiuta più longeva d'Italia. Ci siamo abituati a farci portare via tutto,
giorno dopo giorno.
Ma in modo particolare vi siete abituati, mi rivolgo a voi
un po' più adulti, che avete potuto ammirare San Bartolomeo e gli altri paesi
nella loro momento migliore, quando essi erano ancora pieni di giovani e di
idee, a guardare questo spopolamento e restare inermi, fermi di fronte al fatto
che ogni anno una classe intera di ragazzi continua a partire per non tornare.
Eppure davanti a questo fatto ci ostiniamo a non accogliere le famiglie di
immigrati che potrebbero portare linfa al nostro territorio.
Ci siamo abituati al fatto che ogni giorno le nostre attività
peggiorano perché le persone a consumare sono poche e famiglie intere sono
costrette a trasferirsi, magari all'estero, per una vita migliore. Ci siamo
abituati a “farci i fatti nostri”, perché nelle piccole realtà è così che
funziona, ognuno pensa al fatto suo senza farsi troppi problemi e ci ritroviamo
spesso ad essere più divisi, senza alcun legame né all'interno né all'esterno
del paese, permettendoci finanche il lusso di rimanere senza
un'amministrazione!
Infine abbiamo
sviluppato la piacevole abitudine a dormire, sì a dormire, perché è questo che
facciamo noi del Fortore, dormiamo continuamente, non ci interessa niente fin
quando non riusciamo più ad avere il minimo indispensabile per vivere, come è
successo qualche settimana fa con la strada Amborchia, battaglia che non doveva
fermarsi lì, perché toglierci quel collegamento vitale è stato il colmo; ma non
pretendere una viabilità decente in tutti i paesi e soprattutto nel collegamento con la provincia è molto peggio!
Basta accontentarci, basta cullarci pensando che non si
possa fare nulla, perché ci sono tante cose da fare e ci sono tante cose che
possiamo ottenere lavorando insieme. 60
anni fa queste persone partirono per rivendicare qualcosa che gli apparteneva:
pane, lavoro, dignità e identità.
Aspetti fondamentali che forse dovremmo
riacquistare anche noi. Spero che il punto d'arrivo di questo percorso che
parte con il messaggio che abbiamo voluto trasmettervi oggi, sia proprio
questo: sentirsi reali cittadini del Fortore senza doverci vergognare e senza
dover dare per scontato che sia un banale luogo dimenticato dal mondo, ma al
contrario sentirci ricchi nelle proprie radici, ricchi nel poter vivere queste
terre e poterne godere ogni giorno senza disprezzarle, ma imparando ad amarle,
come ci ha consigliato il poeta Franco Arminio in biblioteca.
(Fonte: sanbartolomeo.info)
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