Di fronte alle
richieste di autonomia avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna,
cui faranno seguito a ruota altre del Nord, è possibile che, in assenza di
riforme costituzionali, inizi un percorso verso un sistema confederale, nel
quale alcune Regioni si fanno Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza
diversi in aree del Paese differenti.
All’indomani della decisione del Governo
dei giorni scorsi, la Svimez rende nota un’analisi sul «federalismo
differenziato», elaborata dal presidente Adriano Giannola e dal professor
Gaetano Stornaiuolo della Federico II di Napoli, pubblicata sul numero 1-2 del
2018 della Rivista economica del
Mezzogiorno edita dalla Associazione per lo sviluppo dell'industria nel
Mezzogiorno. L’autonomia è da promuovere, sostiene lo studio, se è
adeguatamente motivata e se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle
risorse, senza compromettere il requisito di solidarietà nazionale.
Le tre Regioni del Nord,
pur con differenziazioni, hanno stilato un lungo elenco di richieste su materie
concorrenti, tra le quali la sanità e perfino alcune di legislazione esclusiva
dello Stato, quali le norme generali sull’istruzione, con l'obiettivo di
trasformare beni pubblici "nazionali" in beni pubblici
"locali". Per tutte chiedono di assumere funzioni finora esercitate
dallo Stato.
La Svimez rileva che i
preaccordi con il precedente Governo, sono stati siglati senza un benché minimo
richiamo alla necessità di garantire - dopo ben 10 anni - l'applicazione della
legge 42 che stabilisce norme cogenti sul finanziamento dei fondi di
perequazione territoriale e di garanzia integrale dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
A tale scopo la legge Calderoli 42 stabilisce
che i diritti siano garantiti su tutto il territorio nazionale previa
determinazione di fabbisogni standard
ed in regime di costi standard.
Secondo la Svimez, le richiestedi Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto di
acquisire le competenze in ambiti cruciali quali sanità e istruzione non può
che avvenire in conformità al regime di piena operatività della legge 42 di
attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Un aspetto immediatamente
collegato, fonte di forti perplessità, concerne il trasferimento delle risorse necessarie
a finanziare le eventuali competenze regionali aggiuntive. Non ha fondamento presumere
che l'eventuale risparmio di risorse che potrà essere conseguito sia appannaggio
delle regioni, in quanto la destinazione delle risorse per la perequazione
spetta allo Stato, il cui compito prioritario è il “finanziamento integrale”
delle funzioni concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione,
mobilità) per tutti i cittadini, in regime di costi standard.
La Svimez manifesta molte
perplessità sulle modalità di finanziamento dell’autonomia differenziata. La
pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori è infondata,
inconsistente e pericolosa. Eppure continua a far capolino in reiterate
dichiarazioni dei presidenti di alcune regioni, per i quali obiettivo
dell'autonomia rafforzata è ottenere la restituzione ai territori di risorse
cospicue che sarebbero state indebitamente loro sottratte. Questa pretesa si basa su una sbagliata contabilizzazione del dare e
dell'avere tra Stato e Regioni.
I Residui fiscali regionali che si chiede di
ridurre altro non sono che l'avanzo primario regionalizzato che poco o nulla
hanno a che fare con il territorio, essendo il risultato in regime di imposta
progressivo del processo perequativo tra contribuenti ricchi e poveri,
residenti e non nello stesso territorio.
Lo studio di Giannola e Stornaiuolo
fornisce in proposito e per due distinti motivi una lettura chiarificatrice dei
Residui fiscali. Innanzitutto, si produce una inedita analisi dei residui
fiscali a livello delle singole regioni per fasce di reddito. Si evidenzia che
ciascuna Regione al suo interno ha una quota di popolazione che pur in misura diversa,
«dona» e «riceve». In concreto, si tratta di una redistribuzione tra cittadini,
grazie al fatto che lo Statotitolare del potere impositivo raccoglie le imposte
erariali, il cui gettito è più consistente nel Centro-Nord per effetto dei
divari di reddito e della progressività del sistema fiscale. Ciò consente di finanziare
programmi e politiche di spesa in misura non drammaticamente differente in
tutto il territorio nazionale.
La Svimez chiede da anni di
agire sulla componente della spesa dei Residui fiscali, applicando i principi e
i criteri generali previsti nella legge 42 del 2009 finora mai attuata, circa l’attribuzione
delle risorse in regime di costi standard, superando il criterio della spesa
storica per il finanziamento dei livelli essenziali.
In secondo luogo, la
pretesa di alcune Regioni del Nord di controllo del proprio Residuo fiscale
sconta un macroscopico errore, in quanto nel saldo tra entrate e spese
pubbliche si omette di includere proprio quella componente di spesa che nel
corso degli ultimi venti anni è progressivamente divenuta la più rilevante:
l’onere per gli interessi da corrispondere ai titolari del debito pubblico
(famiglie e imprese; banche, intermediari, assicurazioni, residenti esteri).
Questa posta contabile rappresenta una spesa per lo Stato ed un'entrata per i
titolari.
Per cui il saldo da
considerare, non è quello del semplice residuo fiscale ma il residuo fiscale
"aumentato" per gli interessi, cioè il Residuo Fiscale-Finanziario.
Dalle tabelle contenute nello studio pubblicato dalla Svimez, emerge una
prudenziale stima del Residuo fiscale finanziario, che per la Lombardia non
raggiunge i 13 miliardi, decisamente più contenuto rispetto al Residuo fiscale
comunemente computato in oltre 40 miliardi.
Per quel che riguarda il Veneto
e l’EmiliaRomagna, rispetto a Residui fiscali rispettivamente di oltre 12 e di
oltre 11 miliardi, il loro Residuo fiscale finanziario si riduce per entrambe a
circa 2 miliardi.
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