A un tasso d’interesse praticato dalle banche del 3,1% alle
imprese medio grandi in Trentino Alto-Adige nel 2017, ne corrisponde uno del
9%, tre volte superiore, per le piccole imprese in Calabria. Ciò nonostante la
diminuzione dei tassi di interesse attuata dalla Bce attraverso le politiche
non convenzionali del Quantitative easing.
Il differente peso del costo del
denaro, così macroscopico, si trasforma pertanto ina una pesante diseconomia
meridionale ed è evidente che, nella prospettiva di un aumento prolungato dei
tassi di interesse sui titoli del debito pubblico quale si sta configurando,
inevitabilmente si avranno ripercussioni negative soprattutto per imprese e
famiglie nelle regioni meridionali.
Un interessante studio, a cura dei
professori Imbriani e Lopes, pubblicato sul numero 1-2 2018 della Rivista
economica del Mezzogiorno, edita dalla SVIMEZ, mette in evidenza le gravi
conseguenze per il sistema produttivo meridionale, già caratterizzato da
profili di rischio più elevati rispetto al resto del Paese: infatti, nel 2017,
i primi cinque gruppi bancari hanno ridotto gli impieghi al Sud dello 0,2%
rispetto al 2016, mentre li hanno incrementati al Centro-Nord dell’1%.
Questo atteggiamento così cauto degli istituti di credito,
soprattutto di maggiori dimensioni, nell’erogare credito alle imprese secondo
gli autori è riconducibile anche al modello di vigilanza che è andato consolidandosi
con la revisione degli accordi di Basilea e gli interventi della BCE. Tutti
questi provvedimenti si sono caratterizzati per l’imposizione di vincoli sempre
più stringenti alle banche per quanto concerne la capitalizzazione e la
liquidità e la gestione dei rischi che, sul piano microeconomico, dovrebbero
consentire una maggiore resilienza a situazioni avverse.
D’altro canto, questa
impostazione presenta degli aspetti problematici dal punto di vista
macroeconomico dal momento che impone alle banche dei vincoli tali da impedire
di sostenere il sistema delle imprese attraverso il credito nella misura in cui
sarebbe necessario soprattutto nelle aree più deboli caratterizzate da profili
di rischio più elevati; in definitiva l’accentuazione del dualismo nel mercato
del credito finisce con il pregiudicare l’instaurazione di un rapporto virtuoso
tra banca e impresa e, in fin dei conti, la stessa stabilità del sistema
bancario che si vuole perseguire.
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