Cosa pensi di questo tempo?
Credo
sia un momento difficile. Critico.
In
senso negativo allora…
Non
direi. Parlare di crisi non significa necessariamente descrivere una situazione
negativa. La crisi descrive anche un momento di crescita. Le difficoltà non
vengono per deprimerci, ma per stimolarci ed incoraggiarci. Un momento di crisi
può essere un momento positivo, se la crisi mette in moto una reazione decisa.
Ma
i problemi sembrano enormi. Crisi di lavoro, crisi di valori, crisi di senso…
Ma
non crisi di pensiero. La vera risorsa dell’uomo è la sua capacità di pensare e
di rinnovarsi a seguito di pensieri importanti. Si è sempre detto che la
differenza qualitativa tra noi e il mondo animale è data dalla capacità
esclusivamente umana di pensare e di agire in senso conseguente ai propri
pensieri.
Grandi
pensieri generano grandi azioni.
Esattamente.
Basta osservare la storia che – a detta degli antichi – è maestra di vita.
Hai
seguito la campagna elettorale?
Nazionale
o baselicese?
Ovviamente
baselicese!
In
questo sono stato sempre un buon compaesano. Sì, non riesco ad essere
indifferente alle vicende del mio paese, al quale mi sento molto legato, pur riconoscendo
che il mio ruolo mi debba tenere equidistante dalle differenti compagini.
Cosa
ne pensi?
Penso
che nel piccolo si riflettano le stesse difficoltà che si riscontrano a livello
nazionale. Un paese di provincia, come il nostro, riflette quello che si
svolge, come movimento dello spirito, a livello sia italiano, sia europeo.
Puoi
essere più preciso?
Parlerei
di una grande nostalgia.
In
che senso?
Per
coloro che girano intorno ai quarant’anni, sussiste il ricordo di una politica
che partiva dalle idee e si nutriva di idee. La questione economica veniva
affrontata, come è giusto che sia, ma sempre ad un secondo livello di
riflessione, come battuta conseguente. Oggi invece tale tendenza sembra
invertita. Il tema intorno al quale ruota il discorso è solo ed esclusivamente
quello economico. Non parlo di Baselice, ma anche di Baselice. Parlo
della politica in genere.
Da
cosa si mostra questo che dici?
Oggi
la politica ha completamente o quasi abdicato alla funzione di pensiero. Non è
più un laboratorio in cui si studia il percorso, la strada, la mèta. Oggi
vogliamo soluzioni tecniche, vogliamo sapere come fare per lavorare, per
trovare soldi, per fare molti soldi. Tutto si appiattisce a questo livello. Mi
è parso di capire, anche ascoltando i comizi elettorali, che il tema
principalmente affrontato sia stato circoscritto a quello che alcuni filosofi
chiamavano sua maestà il danaro. Non riusciamo ad uscire da questo
stagno.
Ma
il denaro è necessario. Come fai ad immaginare una politica fatta
indipendentemente dal discorso economico?
Non
si nega il valore del denaro come risorsa per vivere. La questione è molto più
articolata. La potrei semplificare.
In
che modo?
Provo
con un esempio. Immaginiamo di essere in nave. Tutti nella stessa barca.
Immaginiamo di essere fermi, in alto mare. Non abbiamo vento. Come fare?
Abbiamo due soluzioni: la prima è quella di rispondere al problema immediato.
Dobbiamo intercettare il primo alito di vento e cercare di andare avanti nel
modo meno traumatico possibile. Questa prima soluzione mi pare essere la scelta
di oggi. Chiediamo ai tecnici di amministrarci e di risolvere problemi
immediati; di intercettare il vento e issare una qualche vela. Fateci avere un
po’ di soldi per continuare a vivere. Facciamoci furbi, vediamo come muoverci
per fare arrivare i contributi e così possiamo andare avanti.
La
seconda soluzione?
La
seconda soluzione è quella di capire dove si debba andare. Il fine di tutto il
viaggio. Quale porto occorre raggiungere. Il buon vecchio Seneca diceva: nessun
porto per quella nave che non sa dove andare. Non possiamo seguire il primo
vento possibile, poi questo smette di soffiare e ne seguiamo un altro, e così
via… fino al punto di accorgerci che vaghiamo senza sapere dove approdare; che
forse stiamo girando su noi stessi. A livello politico mi pare che la questione
che pone la differenza sia la seguente: rispondiamo alle emergenze o forse non
sappiamo dove andare? Dove stiamo andando? Quale progetto di vita vogliamo dare
alle nostre comunità?
Sì,
ma fin quando aspettiamo di capire dove vogliamo andare, non è che moriamo di
fame?
Si
muore lo stesso. Si muore lo stesso quando si fanno tante cose senza sapere il perché.Pensi
che i nostri paesi stiano andando verso la crescita?
Meglio
l’uovo oggi o la gallina domani?
Sì,
fuor di metafora mi sembra che oggi il dramma sia rappresentato da questa
fatica di scorgere la mèta e intanto ci si azzuffa per le soluzioni a stretto
termine. Abbiamo sentito discorsi su contributi, appalti, soldi da far arrivare,
rilanciare il turismo, etc. Tutte cose valide, tutte importanti –
indubbiamente –, anche dette bene, con intelligenza (da entrambe le parti),
eppure come se mancasse una visione più ampia. Questo è un parere.
La
logica economica non basta quindi…
Di
per sé, presa come a sé stante, la logica economica che non procede dal
ragionamento è pericolosa. Perché la logica economica si fonda sul principio
per il quale il pesce grande mangia il pesce piccolo. Sarà sempre così. Il
forte diventa sempre più forte e il piccolo sempre più piccolo, fino ad essere
quest’ultimo condannato alla morte. A livello internazionale si vede come
alcuni stati siano di fatto impotenti rispetto ai giganti di Amazon, Apple,
Google. Grandi aziende rendono impraticabile l’amministrazione libera
della cosa pubblica. Quando un’azienda ha il potere di determinare la vita
pubblica, allora è il ritorno della miseria. In questi ultimi mesi abbiamo
ascoltato spesso il discorso su “rapporto costi benefici”. Un’opera si fa se il
rapporto costi benefici risulta essere positivo. Se questo è vero, è la morte
delle nostre piccole comunità dell’Appennino.
Perché?
Perché
qualsiasi opera pensata per noi piccoli paesi, non servirà mai questa logica.
Pensiamo alla Fortorina. I paesi del Fortore, tutti insieme, possono essere
messi in due palazzi di Bagnoli. Uno stato che voglia muoversi in base alla
logica dei costi benefici, non dovrà mai darci nulla. Non si può fare un
investimento per il Fortore perché il ritorno economico di quell’investimento
non compenserà mai la spesa di partenza. Lo Stato non può spendere milioni di
euro per una strada che deve servire poche decine di migliaia di persone. Ripeto,
tutti noi –in quanto paesi fortorini – entriamo in due palazzi di Napoli. La
logica costi benefici può rivelarsi per noi una trappola mortale.
E
allora? Come pensare?
Lo
Stato deve guadare al cittadino prima di guardare alle risorse. Un cittadino è
soggetto degli stessi diritti di qualsiasi altro cittadino, anche se questo in
termini economici dovrebbe significare una perdita. Un cittadino del Fortore
che deve recarsi in ospedale non può essere penalizzato dallo Stato che dice di
non poter costruire una strada – degna di tale nome –, perché questa non rende
in termini economici. Questo è mostruoso. Lo stato deve prendersi cura di ogni
cittadino. Poi si ragiona su come, dove, quando trovare le risorse. Prima i
principi, poi le scelte concrete in grado di rendere quei principi praticabili.
Capisco…
Il
beneficio da raggiungere non è il guadagno per le casse dello Stato. Il
beneficio è servire il cittadino, dare a lui delle possibilità di vita che
tengano conto del suo essere persona. Se passa la logica aziendale che
divide ogni attività umana in guadagni e in perdite, è la fine del consorzio
civile, è la fine della vita sociale. La fine delle nostre comunità.
Occorre
ritornare alla politica come pensiero…
Sì,
per forza. La via d’uscita dalla crisi è la forza della mente. Lo stare nei
problemi con intelligenza, non con la calcolatrice.
Da
dove partire?
Potrebbe
essere un discorso viziato di ideologia ma occorre credervi: partire dalla
scuola, dalla formazione. Abbiamo bisogno di leaders che diano la loro
vita per la cosa pubblica, non di furbastri che pensino solo a se stessi. Penso
a De Gasperi, a La Pira… Dovremmo lottare per non far perdere alle nuove
generazioni una sola ora di lezione. Per educarli alla lettura. Per aiutarli a
ragionare e a giudicare. Dovremmo arrabbiarci quando i nostri figli passano ore ed ore ipnotizzati dinanzi ai tablet, alla
televisione, ai social. Vivo in seminario. Accompagno alcuni ragazzi delle
superiori. Quest’anno ho contato tantissime assenze, per svariati motivi.
Scherzando dico loro che non hanno fatto dieci giorni di scuola di seguito.
Naturalmente si tratta di una esagerazione. Ma un popolo ignorante fa gran
comodo ai poteri forti. Non è accettabile questa cosa.
Sei
un appassionato lettore. Ci suggerisci un testo attinente al tema?
John
Steinbeck, Furore. Il titolo originale è The Grapes of Wrath. Il
romanzo fu scritto qualche anno dopo la crisi americana del ’29 e pubblicato
nel ’39. Lo trovo di grande attualità. Viene espressa la metafora di cosa può
fare l’uomo in condizioni difficili. La scena finale è potentissima, davvero
notevole.
Non
vuoi dirmi per chi hai votato?
Sono
un sacerdote. Preferisco confessare, confessarmi ma non farmi confessare. C’è
qualcosa che vale più del voto e mi pare di averlo fatto capire.
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