La grande emigrazione di fino Ottocento non solo svuotò tanti paesi del Sud, ma l’esodo di milioni di emigranti fu costellato da drammatici episodi spesso relegati nell’oblio della storia. È il caso del naufragio della nave Utopia. Il piroscafo passeggeri della compagnia Anchor line, che il 17 marzo 1891 affondò nella baia di Gibilterra trascinando con sé in fondo al mare la vita, i sogni e le speranze di centinaia di emigranti diretti verso Nuova York. Quel giorno a bordo della nave c’erano 880 persone. Di questi 815 viaggiavano in terza classe e solo 3 in prima. Cinquantanove i membri dell’equipaggio. Questi i dati ufficiali, ma dopo il naufragio si scoprì che 3 passeggeri erano clandestini.
Ma andiamo con ordine: il 25 febbraio l’Utopia partì dal porto di Trieste, all’epoca appartenente all’impero Austro-ungarico. A Palermo e Napoli salirono a bordo gli emigranti meridionali, direzione Genova. Ultimo scalo, prima della grande traversata dell’oceano Atlantico, Gibilterra. Giunta la sera del 17 marzo nella baia della città, la nave trovò il mare in burrasca per il maltempo.
Il capitano John McKeague cercò di ancorare il piroscafo alla banchina, ma si trovò di fronte la nave militare britannica Hms Anson dotata di uno sperone di abbordaggio, che come un coltello nel burro trafisse lo scafo dell’Utopia a poppa. «L'impatto contro il rostro causò immediatamente – scrive Wikipedia – un grande squarcio lungo la parte posteriore della fiancata del piroscafo. Anche dalle testimonianze processuali risulta che tra i motivi che indussero il capitano del piroscafo a valutare in maniera errata gli spazi di manovra furono i fasci luminosi delle luci elettriche provenienti dalle corazzate da guerra della Royal Navy ancorate nella baia del porto inglese».
L’allagamento fu rapido. Non si ebbe nemmeno il tempo di calare le scialuppe di salvataggio, che la nave si inclinò e dopo circa 20 minuti colò a picco. Molti passeggeri restarono intrappolati, senza via di scampo, nei ponti più bassi della nave. Sopravvissero solo 318 persone, 562 furono i morti e i dispersi. A questi bisogna aggiungere i 2 soccorritori che annegarono nel tentativo di salvare i passeggeri. La drammatica vicenda del panfilo è raccontata anche nel libro «Utopia. Il naufragio della speranza» del giornalista pugliese Duilio Paiano. Il testo è stato presentato nei giorni scorsi a Baselice (Benevento) nella location di palazzo Lembo.
«Il libro, scritto in forma di intrigante indagine
giornalistica – si legge nella sinossi –, ricorda il naufragio della nave
Utopia, avvenuto il, e ricostruisce il contesto umano, sociale e politico in
cui si è compiuto. Una disgrazia evitabile nella quale perdono la vita 18
cittadini di Faeto, 8 di Roseto Valfortore e centinaia di altri emigranti
partiti dalle regioni del Sud. Le disumane condizioni dei viaggi, lo squallido
ruolo degli agenti delle Compagnie di navigazione, la beffa dei superstiti e
delle famiglie delle vittime, cui venne negato un sia pur minimo indennizzo,
obbligano ciascuno di noi a confrontarsi con la realtà del fenomeno migratorio
dei nostri giorni».
(La mia recensione pubblicata su Meridiane-Meridiani)

Nessun commento:
Posta un commento