di Angelo Iampietro
Non c’era persona che a Baselice non conoscesse Salvatore
Palmieri (lu pustìne). Era nato nel 1927. Figlio di Giuseppe (zi Péppìne),
con abitazione in via Santa Maria, di fronte al palazzo della n.d. Aurora de
Nonno, già direttrice dell’ufficio postale locale.
Il papà di Salvatore, soprannominato “lu Béscule”, esteso
poi a tutta la famiglia, ebbe l’incarico di postino, come reduce della Prima
guerra mondiale; lo fece fino alla pensione in modo meraviglioso. Zio Peppino
consegnava la posta di sera, perché la corrispondenza giungeva tardi,
trasportata dalla diligenza prima, dal pullman poi, da quando alla fine degli
anni “40, fu istituita la linea di collegamento con Benevento.
Salvatore, sin dalla giovane età, mise su una bottega di barberia in via Santa Maria, di fronte all’attuale supermercato Brancaccio. Lì, quando non c’era la clientela, come passatempo, avendo avuto sempre un forte trasporto per la musica, suonava il mandolino, insieme a coetanei, anch’essi dilettanti suonatori, chi di chitarra, chi di fisarmonica; non c’era giorno o sera che nella barberia non si concertasse. Salvatore, con un fino orecchio musicale, aveva acquisito sufficienti tecniche per suonare anche la chitarra.
Nel contempo faceva anche il sostituto portalettere, quando
c’era necessità per l’assenza del titolare, suo padre.
Quando il genitore cessò dal servizio, per pensionamento,
Salvatore, da sostituto portalettere prima e da giornaliero poi, dopo alcuni
mesi, divenne titolare di quel servizio. Era l’unico postino del paese ed espletava
il suo proficuo lavoro con competenza e col sorriso; sapeva tutto di tutti e
con intelligente perspicacia non lesinava accenni di ironia durante talune
chiacchierate. La riservatezza, però, era statuaria.
Con il suo lavoro aveva memorizzato non solo i volti, i nomi, i cognomi, i nomignoli di tutti gli abitanti del paese, dal ragazzo al più anziano, ma anche le abitudini ed i comportamenti; nella sua mente c’erano tutti i nominativi registrati all’ufficio anagrafe. Egli, infatti, nel consegnare la corrispondenza, non solo era certo del destinatario, nelle cui mani affidarla, ma anche la provenienza; capitava che, per omonimia o per indirizzo incompleto, lui, sapendo la provenienza, con certezza matematica, la consegnava al giusto destinatario.
Riservato, puntuale e rigoroso nel
consegnare una lettera, una cartolina, che riportava la scritta, “alle proprie
mani”, spedita ad una ragazza dal proprio innamorato-corteggiatore; la
consegnava direttamente all’interessata, perché la famiglia non sapesse (un amore
clandestino, si direbbe!).
Per la sua generosità e per la sua benevolenza, spesso, gli
veniva fatto dono di prodotti della campagna, che accettava, ringraziando. Ciò
testimoniava la stima, di cui godeva il Postino.
Salvatore, oltre che bravissimo e stimatissimo portalettere,
faceva anche l’infermiere; aveva appreso come dar sollievo e praticare le cure
ad un infermo, durante il servizio militare, essendo stato inquadrato nel Corpo
della sanità. Era l’unico a quell’epoca (anni ’50 e ’60) che prestasse alcune
cure sanitarie sotto la guida e la responsabilità del medico, fiducioso di ciò
che poneva in essere. Del resto, cosa avrebbe potuto fare il sanitario, se non
c’era nessuno in paese che potesse fare una flebo o una endovena?
Era così abile e aveva tanta pratica, da non aver mai
lasciato un ematoma sul braccio di un paziente. Anche in quest’opera non gli
mancava mai il sorriso ed una parola di conforto. La sua puntualità negli
orari, la paragono al battito dell’ora proveniente dall’orologio del campanile
della chiesa parrocchiale.
La sua disponibilità era illimitata.
Nell’agosto del 1973 a Napoli scoppia il colèra. Nella
Regione si programma un piano di vaccinazione che tutte le comunità dovranno
attuare per debellare l’epidemia; ebbene Salvatore dà la piena disponibilità,
gratuitamente, per far sì che i Baselicesi potessero essere vaccinati nei
locali del Comune. Ricorrevano le festività di settembre. La sua presenza era
assidua anche durante il festeggiamento di un matrimonio. Infatti, di sera,
dopo aver svolto il suo compito, si recava dagli sposi, per consegnare un
telegramma o per rivolgere loro un augurio, sempre con il suo mandolino. Veniva
accolto con familiarità e la sua presenza era sempre gradita, perché portava
allegria. Il suono di uno strumento porta sempre allegria, spensieratezza,
gioia, comunanza di sentimenti tra i presenti.
Lo strumento lo suonava “ad orecchio”, non avendo avuto la possibilità di studiare “la musica”, ma, credo, che conoscesse, da autodidatta, gli elementi base e molti accordi. Lo strumento nelle sue mani era un giocattolo, tant’è che riusciva persino a suonarlo mettendoselo sulle spalle. Era per lui - “Il mandolino acrobatico” -, come soleva dire.
Partecipò anche ad un programma televisivo che presentava
Corrado, dal nome “La Corrida”; i partecipanti venivano fischiati o applauditi;
in base al gradimento del pubblico, si decretava il vincitore. Salvatore
presentò un brano e vinse la gara con il suo “mandolino acrobatico”, tra
l’entusiasmo ed il gradimento del pubblico presente in sala.
Quando cessò dal servizio di portalettere per raggiunti
limiti di età pensionistica, la sua attività, di artista-musicista, continuò
oltremodo, assorbendolo completamente. Con un giovane chitarrista, formarono
“Un Duo”, che si esibiva, in concerto, in molte piazze della nostra penisola,
ma anche all’estero. Il loro programma riportava il nome di “Concerto con
mandolino napoletano “.
Ebbe grandi riconoscimenti per la sua bravura, tanto che gli
fu conferito dalla Federazione mandolinistica italiana (FMI) l’Onorificenza di
“Ambasciatore di mandolino nel mondo”; aveva 91 anni. Il titolo gli fu
consegnato dal presidente della Fmi con una cerimonia sobria, ma significativa,
nella Sala consiliare del Comune di Baselice, alla presenza delle autorità locali,
il 28 aprile 2018.
Questo riconoscimento, conferito da un ente tanto qualificato, lo rendeva orgoglioso, perché la sua forza d’animo, mai venuto meno negli anni, l’aveva temperato e portato ad affinare la sua arte musicale. Col suo mandolino produceva la musica napoletana accompagnata talora dal suo canto, ma non disdegnava quella italiana; il suo repertorio era vastissimo e lo eseguiva per ore, mostrando una resistenza fisica inimmaginabile.
Ha suonato in pubblico, con il suo inseparabile mandolino,
fino alla soglia dei novant’anni. Ciò gli dava conforto e distrazione da quando
aveva perso sua moglie. Da quella perdita si leggeva sul suo volto una vena di
malinconia, che ben nascondeva sotto quei baffetti, sempre ben curati.
Durante i suoi concerti “extraterritoriali”, non gli
sfuggiva mai l’occasione di nominare il suo paese e l’intera Valfortore,
componendo, al momento, in rima, espressioni a lui care, ma, che ben si
adattavano al contesto.
Recandomi in paese, immancabilmente lo incontravo, ci salutavamo
e mi raccontava dei suoi programmi con “Il mandolino acrobatico”.
Fisicamente era una bella persona e la sua cordialità non
aveva limite. Da postino, anche durante le domeniche e le festività, portava
con sé quella corrispondenza che non gli era stata possibile consegnare per
assenza dei destinatari. In lui non c’era la minima idea di rispedire indietro
una corrispondenza che poteva essere di necessità e di attesa, avendo Baselice
molti suoi concittadini emigrati in lontane terre.
Prima della diffusione dei telefonini, la lettera costituiva
l’unico modo di dare e ricevere notizie dalla persona lontana.
Prima di ultimare, non posso sottacere quanto segue.
Si era nell’estate del 1943 in piena guerra; c’era stato in
Sicilia lo sbarco degli americani, che risalivano lo Stivale. Le forze
militari, passanti per la dorsale appenninica, tra i tedeschi in ritirata e gli
americani inseguitori, giunsero verso il 20 settembre nella nostra cittadina,
dove si accamparono per qualche giorno. Essi posero il loro comando nel Palazzo
Lembo. Lì, gli ufficiali chiesero la presenza di un barbiere che prestasse la
sua opera; nessuno degli anziani barbieri, per timore, volle andare. Perché la popolazione non subisse atti di
violenza o minacce, venne fatto il nome di Salvatore Palmieri. Era un ragazzo:
aveva solo 16 anni. Egli andò e si presentò al loro cospetto con gli attrezzi
indispensabili.
Gli ufficiali, nel vederlo così giovane, manifestarono
qualche perplessità, ma Salvatore, da abile qual era, svolse il suo compito a
dovere; del resto non gli mancavano: competenza, destrezza, garbo, affabilità.
Della sua prestazione, gli ufficiali restarono soddisfatti e, quando lui
completò le loro richieste, venne lautamente ricompensato.
Me l’ha raccontato dicendomi: “Prufessò, nisciùne ce vuléve
i’, pecché penzàvene che se le fùssere purtàte cu loro. Ce ijje e me paiènne pure bbóne!”.
Il suo mandolino non suona più per le strade del paese, ma la
sua persona, portatrice di allegria, onestà e laboriosità, mai potrà essere
dimenticata, insieme alle tante altre, che hanno onorato e fatto conoscere la
nostra comunità. Ci ha lasciato nell’estate del 2019. Non ha voluto una tomba
marmorea; ha preferito essere seppellito nel terreno. È quanto dire!
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