giovedì 19 giugno 2025

Quando l’arciprete Iarossi fu accusato di simpatizzare coi comunisti. Note dagli archivi dell’ex Sant’Uffizio

di Leonardo Lepore

Don Carmine Iarossi fu parroco di Baselice dal 1934 al 1958. Ebbi la fortuna, da vice-parroco di san Bartolomeo in Galdo, di sfogliare, per la gentilezza di una sua parente, l’album di fotografie dell’arciprete. Ricordo distintamente quegli scatti, rigorosamente in bianco e nero e di piccolo formato, che ritraevano il sacerdote sempre in abito talare, volto sorridente e bonario. Mi rimase impressa la foto con una volontaria della Caritas Svizzera, dinanzi ad una casetta povera di campagna. Evidentemente, fu tirata lì a testimonianza di un aiuto e del soccorso offerto ai bisognosi durante gli anni difficili del dopo-guerra, quando la fame mordeva e vivere significava spesse volte sopravvivere. L’arciprete arrivò a Baselice che già il clima non era sereno: immensa povertà e liti a non finire. 


L’allora vescovo, cardinale Adeodato Piazza, che aveva scelto il giovane don Carmine per la chiesa di S. Leonardo, aveva sofferto molto per i conflitti paesani e non aveva risparmiato diffide di punizioni esemplari. Minacciava addirittura di voler chiudere la chiesa se i litigi non fossero cessati!

Il palazzo dell’ex Sant’Uffizio si trova sulla sinistra osservando la Basilica vaticana. Una volta attraversato il grande cancello di ferro, dove le guardie svizzere tengono presidio nelle caratteristiche uniformi, appare una costruzione superba che signoreggia su largo Paolo VI: è il famoso palazzo dove la fede per secoli è stata oggetto di studio, di difesa e di promozione. La sede si sviluppa su sei livelli, che non appaiono dall’esterno. Si scende anche di un piano sotterra. Qui vi è l’archivio del Dicastero, che una volta prendeva nome di Suprema Congregazione del Sant’Uffizio. Solo a vederlo, il Tabularium, ovvero l’insieme delle sale dove si conservano i documenti del passato, si ricava una sensazione intrigante, stimolati come si è a voler mettere le mani su carte tenute riservate e custodite nel silenzio e nella polvere. 

I faldoni son tutti posti in ordine seguendo un’apposita e rigorosa catalogazione, la temperatura è controllata per scongiurare i danni dell’umidità, e molto simile a quella del giorno è l’illuminazione, quasi naturale. Laggiù il tempo scorre ma non ne hai contezza. Proprio in quelle stanze sotterranee, tra i faldoni, ho trovato del materiale riguardante l’arciprete Iarossi su di una vicenda di cui mi piace riferire in queste pagine. Mai, mai a pensare che il parroco di Baselice fosse stato oggetto di indagine da parte del Vaticano. Ma di cosa si trattò?

 Prime avvisaglie

La vicenda inizia precisamente il giorno 4 agosto 1945: un sabato. Sul settimanale beneventano Luce Nuova (1), organo di stampa della Federazione provinciale del Sannio del Partito Comunista, alla rubrica di p. 5, intitolata Dai comuni della provincia, appare un trafiletto che informa da Baselice:

«Ci viene segnalato che il prete Iarossi di Baselice, dimentico del suo alto ministero spirituale, preferisce somministrare ai suoi parrocchiani forti dosi di politica anticomunista anziché [sic!] spiegare il Vangelo od altri argomenti religiosi» .

In buona sostanza, la denuncia è che il parroco dall’altare fa politica e si schiera apertamente contro i comunisti. La propaganda politica non può vestirsi di sacro e se vi deve essere, che sia fatta nelle sedi opportune, non certo nella casa di Dio.

«…se [l’arciprete] vuole denigrare un’idea, che egli non può penetrare per difetto di intelletto o per altre ragioni a noi ignote a beneficio di un’altra idea, non ci interessa, ma che la propaganda politica avvenga, come per tutti, in sede politica e non rivesta il carattere di propaganda religiosa».

Poche righe ancora e il pezzo chiude così:

«È più di una volta che ci viene segnalato il medesimo inconveniente da parte dei compagni della provincia e ci siamo curati pure di segnalarlo all’arcivescovo. Domandiamo pertanto alla maggiore autorità ecclesiastica della provincia come intende ovviare a questa mancanza di delicatezza e di senso di responsabilità, insufficienza che sarebbe un pericoloso intralcio all’esercizio delle libertà democratiche».

Ovviamente, non è difficile intuirlo, il segnalato ricorso all’autorità superiore religiosa fungeva da avvertimento. Ma, per quel che sappiamo relativamente al temperamento dell’arciprete Iarossi, non crediamo che questi cedesse facilmente ad intimidazioni e minacce.

Era successo che la regione ecclesiastica beneventana, sulla scorta anche di altri vescovi che in molte diocesi italiane si erano comportati similmente, aveva emanato delle norme nel tentativo di frenare l’ingresso dei cattolici nella compagine comunista. Dette norme erano state comunicate ai parroci con preghiera di affiggerle alle porte della chiesa e di informare i fedeli. Pare che anche il parroco di Baselice si fosse attenuto a quanto richiesto dai superiori. Al termine della messa domenicale aveva dato pubblica lettura di quanto stabilito.

Il testo dell’articolo attacca. Il sacerdote Iarossi si scaglia contro i comunisti e compete con loro abusando della propria autorità, sconfinando in maniera indegna in un terreno che non gli compete. La stampa rossa, incollerita, ne aveva prontamente data notizia.

Esattamente venti giorni dopo questa segnalazione, arriva un contrappunto ancor più mordace, su di un altro settimanale.

Dalle colonne de Il progresso liberale

Verso la fine del mese di agosto, a pochi giorni dalla festa patronale di settembre, sulle colonne de Il Progresso liberale (2), anche questo un settimanale beneventano, alla rubrica intitolata Dai comuni della provincia, compare una nota proveniente da Baselice: due colonne e mezzo di pagina tre. Qui si smentisce quanto scritto su Luce Nuova.

Si incomincia con la citazione:

«Su “LUCE NUOVA” del 4 agosto corrente leggiamo: “Ci viene segnalato che il prete Iarossi da Baselice, dimentico del suo alto ministero spirituale, preferisce somministrare ai suoi parrocchiani forti dosi di politica anticomunista anziché spiegare il Vangelo od altri argomenti religiosi”».

Poi, passa alla smentita e, sine modo, subito viene sferrato l’attacco: altro che anticomunista! Fino a pochi mesi prima – ossia fino a quando non fossero state emanate le norme ecclesiastiche – il parroco non aveva mai proferito parola contro i rossi, anzi si era mostrato piuttosto connivente:

«…come schierarsi ora contro i comunisti quando sino a ieri, approfittando della buona fede di costoro egli si è servito di essi per incriminare le famiglie a lui ostili? Quando in Chiesa colle sue predicazioni ha suscitati [sic!] in costoro l’odio di classe?».

Chi scrive – ed è gran peccato che lo faccia in anonimato – inizia a voler dimostrare che la realtà è bensì un’altra; che l’arciprete non solo non è un anti-comunista, anzi è vero l’esatto contrario: egli ha avuto con loro, nel corso del tempo, un rapporto di collaborazione e di esplicita complicità: come fare a definirlo un anticomunista.

«Quando ha invitato il Sindaco comunista a portare l’ombrello a Gesù Sacramentato durante la processione del Corpus domini? Quando si è servito dello stesso Sindaco comunista per far pregare S.E. l’Arcivescovo di venire a Baselice a benedire le campane? Quando per la rifusione di esse si è fatto accompagnare da un assessore comunista?».

A sostenere la denuncia di parzialità si citano le parole di un testimone, che rimane anonimo, ma le cui espressioni sono inequivoche:

«La sera del 18 dicembre 1944 presentandomi con la mia sposa e mia madre e mia suocera in casa dell’arciprete Iarossi per sottopormi all’esame della dottrina cristiana prima del matrimonio; prima che mi avesse esaminato, senza che io ce l’avessi domandato, l’arciprete mi disse queste precise parole: ci sono molti partiti, prima di decidervi aprite gli occhi ed iscrivetevi al partito comunista che è l’unico partito che viene in vostro favore [sic!]».

Come nel primo, anche nel corrente trafiletto, il finale è contro il malcapitato vescovo, scagliandosi lo scrivente contro la responsabilità di mons. Mancinelli, che nulla avrebbe fatto per opporsi alla condotta del prevosto di Baselice:

«Quando potrà Baselice godere la pace nella sua parrocchia, Eccellenza Mancinelli? Troppe sono state le Vostre promesse non mantenute! Sarebbe ora di guardare seriamente alla salute delle anime e non irrigidirsi in uno spietato protezionismo della persona!».

L’articolo è anonimo. Lo spirito di chi scrive è chiaramente cocente di delusione. Sembra quasi che voglia dare fastidio al parroco conducendo una serrata polemica.

Se la cosa fosse rimasta circoscritta alle pagine del giornale e si fosse fermata ad una denuncia anonima, probabilmente sarebbe caduta nel dimenticatoio, e noi oggi non avremmo avuto modo di proporla. Tuttavia, l’accusa non rimase ferma nel confine della Provincia, ma assunse dimensioni tali da finire sulla scrivania dell’allora Sant’Uffizio, la cui prassi in tema di lotta al Comunismo poteva definirsi come estremamente zelante. Le idee marxiste andavano combattute e qualsiasi tipo di accusa era da ascoltarsi, perfino quella anonima. Seriamente.

Per capire meglio

Un’accusa di simpatia per i comunisti, negli anni di cui ci stiamo occupando, ossia nell’immediato periodo post-bellico, era cosa molto grave. Oggi forse non se ne coglie appieno la rilevanza. Tuttavia, pensare che un ministro della Chiesa, nel 1945, trescasse coi cosacchi, era questione dolorosa e preoccupante. Il Vaticano monitorava con attenzione massima ciò che avveniva nella vita politica italiana, non temendo di adire i più severi provvedimenti per evitare che la situazione degenerasse.

Ciò accadeva per una serie di ragioni, di cui alcune vale la pena richiamare: a) il Vaticano conosceva quel che stava accadendo, in termini di persecuzione religiosa, oltre cortina, non solo in Russia, ma anche in Polonia, in Ungheria, in Jugoslavia; b) inoltre, il Vaticano era spaventato dalla possibilità che l’Italia stessa potesse trovarsi oltre cortina. In tal caso la Città del Vaticano si sarebbe costituita come una sorta di enclave all’interno di un sistema politico ateo e persecutorio; c) il Comunismo oltre alla lotta e alla vicinanza ai poveri, era anche un sistema di pensiero, proponeva un suo “catechismo”, fortemente ostile al Cattolicesimo. Da un punto di vista dottrinale – questo era già stato chiarito dai pontefici del Novecento – non si dava nessuna possibilità di convergenza; d) vi è da aggiungere tutta una serie di fatti che esasperavano maggiormente l’attenzione dei pastori. 

Ad es. nel gennaio del ’45 a Roma si erano riuniti alcuni intellettuali che immaginavano la nascita di un partito comunista cattolico; nello stesso anno e sempre nella medesima città, un gruppo di giovani studentesse cattoliche, davanti alle chiese, aveva diffuso un volantino dove si tentava di mostrare come tra Comunismo e Cattolicesimo vi fossero dei punti di convergenza; una lettera proveniente da Milano, a firma di padre Agostino Gemelli e indirizzata a Sua Santità Pio XII, ammoniva di una tendenza, in territorio meneghino, di studenti che, seppur cattolici praticanti, strizzavano l’occhio al partito sovietico…; e) infine, l’attenzione e il sospetto da parte delle autorità ecclesiastiche nascevano anche dal fatto che non vi erano norme concrete per i parroci, i quali si dividevano – come sempre – tra lassisti e rigoristi. 

A titolo esemplificativo dell’incertezza dominante, c’è il famoso quesito del cardinale di Palermo, il quale – su sollecitazione esplicita dei preti – si rivolge al Vaticano per sapere se la bandiera rossa poteva o meno accompagnare il feretro dall’uscita di chiesa fino al camposanto.

La nostra vicenda si sviluppa in questo clima (3). E quanto osservato è necessario per far capire in quale rischio il parroco di Baselice si era andato a trovare come anche che sul suo capo pendeva una querela non banale. Ma torniamo alla vicenda.

Il Vaticano chiede spiegazioni

Il Sant’Uffizio si muove immediatamente: viene aperta una positio, ossia un fascicolo per la raccolta delle informazioni (una sorta di indagine iniziale) con protocollo nr. 305/1945 (4). Con lettera del 27 settembre 1945 indirizzata all’arcivescovo di Benevento, si trasmette a mons. Agostino Mancinelli la richiesta di «assumere accurate informazioni …e riferire a questa Suprema». Nella lettera viene esplicitato anche il motivo di tale inchiesta riservata: «secondo informazioni venute da varie fonti a questa Suprema S. Congregazione, il sac. Carmine Iarossi, Parroco di Baselice in cotesta Archidiocesi, avrebbe simpatizzato talmente coi comunisti del luogo da destare ammirazione nei fedeli e da peggiorare la situazione religiosa del paese in parola».

Ad inoltrare la richiesta sotto il benestare del card. Francesco Marchetti Selvaggiani, Segretario del Sant’Uffizio dall’aprile del ’39 fino al gennaio del ’51, fu il vescovo assessore mons. Alfredo Ottaviani, dai maligni additato come «il carabiniere» di Santa Romana Chiesa. Tuttavia, il testo tace la fonte e non dice da dove abbia ricavato le informazioni: “da varie fonti”, rimanendo nel vago. In realtà, nel fascicolo c’è copia dell’articolo de Il progresso liberale, sottolineata e studiata. Qualche officiale vi si era applicato con scrupolosità.

La risposta da parte di mons. Mancinelli arriva a stretto giro. La stessa tempistica rende ragione della preoccupazione e della gravità della cosa. Dopo soli quattro giorni, il 1 ottobre del 1945 il presule beneventano spedisce in Vaticano la propria versione dei fatti. Si tratta di tre fogli dattiloscritti e firmati. A Roma, la lettera viene acquisita al protocollo il giorno 8 dello stesso mese. Un’anima devota direbbe: il giorno della Madonna di Pompei. Il testo della missiva è estremamente interessante.

Protocollo 214/45: Risposta alla Suprema

Mons. Agostino Mancinelli risponde dapprincipio con tono assertivo: «Alla domanda se è vero che il sac. Arciprete Carmine Iarossi avrebbe simpatizzato coi Comunisti […] rispondo negativamente».

Il vescovo attesta l’infondatezza dell’accusa, in capite, quasi a voler togliere ogni fastidio a chi debba leggere il resto. Il tono è perentorio e non lascia spazio ad ambiguità interpretative.

Tuttavia, il presule beneventano continua dando delle informazioni interessanti sulla Baselice del dopo-guerra. Scorrendo il testo, si riesce a respirare il clima difficile di quegli anni e allo stesso tempo gli odi e le vicende dolorose che stavano segnando la comunità. Ci sono affermazioni che fanno saltare dalla sedia. «La storia di Baselice è una storia d’inferno», oppure «Baselice non ha mai fatto riposare nessuno». Il piccolo paese del Fortore aveva creato più di un problema all’arcivescovo e questi non teme di confessarlo con crudezza. Poi, con la finalità di motivare il clima infernale che si respirava a Baselice, il presule si sforza di ricostruire come si sia diffusa la voce di Comunismo appiccicata alla veste talare del parroco.

«Baselice aveva una popolazione della quale ogni famiglia possedeva alcuni campicelli e la casetta povera propria. È avvenuto che [alcune famiglie] […] in un giro di anni si sono […] impossessate di case e terreni. Abbiamo quindi alcune famiglie signorili le quali sono […] padrone di due terzi del paese».

«Il soffio del Comunismo ha fatto brillare la possibilità di una restituzione. Di qui molti (300 circa) iscritti al Comunismo. Questi purtroppo non si vogliono rendere ancora conto del male che fanno perché per essi Comunismo significa restituzione o riparazione dei soprusi».

Nessuna adesione ideologica ad alcun sistema di pensiero. Il Comunismo viene semplicemente percepito dai poveri baselicesi come nuda e unica possibilità di riscatto. Uno strumento che consenta ai malcapitati di riavere quanto, nella loro opinione, gli era stato sottratto nel corso degli anni. Il vescovo spiega bene che i circa trecento iscritti mai potevano lontanamente immaginare che aderire al partito avrebbe significato anche altro, in termini di scelte ideologiche o di posizioni politiche e non meno religiose. Per la povera gente era una questione di semplice opportunismo: la lotta comunista consentiva loro una speranza, quella di vedersi restituita la proprietà da cui erano stati, per le ragioni più diverse, allontanati. Un povero contadino di quegli anni veniva dalla religione e rimaneva religioso, non si interessava certo di materialismo storico, di idealismo, di ateismo militante… La fede o la prassi religiosa non entravano minimamente in tale gioco ideologico. Nihil amplius.

Il vescovo aggiunge che il partito della Democrazia Cristiana sopravvive ed è molto debole e molto meno capace di dare risposte concrete ai problemi della povera gente:

«La Democrazia Cristiana locale, più debole, per tenersi in piedi ha bisogno di contatti inevitabili con i Comunisti. Di qui le accuse contro l’Arciprete Iarossi».

«A Baselice nel 1943 la popolazione […] assalì l’ammasso granaio. Di qui arresti. Quando l’Arciprete scese a Benevento per affari, venne pregato dalle famiglie degli arrestati di portar loro oggetti e cibi. Iarossi eseguì il mandato e passò alle carceri di Benevento. Di qui scalpore, perché? Perché buona parte degli arrestati erano comunisti. Quindi l’accusa che l’Arciprete proteggeva i comunisti».

Alla base delle voci vi era stato un terribile malinteso: un gesto di carità e di vicinanza era stato interpretato non per quello che era, ma per ciò che in termini politici avrebbe potuto significare. Le voci a volte nascono così. Benché vi sia buona intenzione, questa alle volte non viene recepita.

Il ritmo della relazione di mons. Mancinelli segue un certo ordine: anzitutto la risposta negativa; poi la genesi di come siano nate e si siano diffuse le voci; quindi, nella terza e ultima parte, un riferimento alla persona dell’arciprete Iarossi: «Iarossi non si impiccia col partito comunista. Posso assicurare che data la curiosa e complicata situazione del paese l’Arciprete cerca di sfaldare la compagine comunista».

Qui il prete da accusato, cambia veste e diventa degno del personaggio di Fernandel. Si era partiti che simpatizzava per i comunisti, e ora ci si ritrova che in realtà, non solo lotta contro di essi, ma cerca vieppiù di sfaldare i comparti avversari. Tuttavia, ciò che il vescovo scrive, ha una sua veridicità. Al proposito, ho rintracciato una lettera di mons. Mancinelli, risalente a due anni dopo i fatti di cui ci stiamo occupando, ossia al 1947, dove egli scrive:

«Date le particolari condizioni di miseria della popolazione di Baselice, sfruttata con sistemi prettamente feudali da pochi elementi, […] si era costituita una sezione comunista con oltre settecento iscritti (la popolazione è di sole 4.000 anime) ed il parroco è riuscito a completamente disorganizzarla. Il P.C.I. alle elezioni politiche si ebbe solo 28 voti. È questa la prova migliore contro l’accusa che gli si muove…».

Il don Camillo del Fortore aveva in due anni raggiunto dei risultati concreti, apprezzati dalla curia. La sua azione pastorale di vicinanza ai bisognosi, di soccorso ai poveri e di denuncia di angherie e soprusi, aveva – anche alle urne – portato i suoi risultati. Per mons. Mancinelli la questione era chiusa: don Carmine non era comunista e non simpatizzava per loro. Affatto.

Reponatur

La risposta del vescovo sortì il suo effetto. Il Vaticano chiuse la positio con la formula di rito, reponatur, ossia si metta a posto (alla lettera: sia riposta) la cosa e non si vada oltre. Archiviato. L’accusa apparve vuota e il tutto si risolse in un nulla di fatto.

Mi piace, concludendo, richiamare come mons. Mancinelli chiude la sua missiva. Questi, in cauda, con due semplici frasi rende un attestato di stima, senza fronzoli, al parroco di Baselice originario di Castelvetere: «A conclusione l’Arc. Iarossi ha la testa a posto ed è integro. In rapporto alle idee è ortodosso. Sempre a disposizione per qualsiasi richiesta bacio la s. Porpora…».

L’insinuazione che Iarossi fosse comunista, purtroppo, rimarrà in alcuni baselicesi e – a tutt’oggi – non è difficile trovare chi ancora la condivide e inconsapevolmente continua a perpetuarla. Lo scopo di questo breve intervento era non solo quello di rendere conto di fatti accaduti, ma anche di esortare a riporre tale diceria – reponatur – e consegnarla con serenità alla storia. Noi siamo soltanto spettatori postumi di eventi dolorosi.

[1] Luce nuova. Settimanale della Federazione Provinciale del Sannio del Partito Comunista, Anno I, nr. 14-15 di sabato 4 agosto 1945, p. 5.

[2] Il progresso liberale. Anno I, nr. 49 di sabato 25 agosto 1945, p. 3.

[3] Su questi argomenti, mi permetto di rimandare al volume di Cesare Catananti, La scomunica ai comunisti. Protagonisti e retroscena nelle carte desecretate del Sant’Uffizio, San Paolo, Roma 2021.

[4] ADDF, S.O. Rerum Variarum 1945, n. 26.

 

Nessun commento: