mercoledì 19 novembre 2014

L'articolo 18 nasce nel Fortore nel Trecento

Postiamo un interessante articolo pubblicato sul quotidiano online pensieridintegrazione.it a firma di Michele Pietraroia, ex segretario della Cgil Molise e attuale vicepresindente della Regione Molise.

Nel corso di un incontro avuto con l’avvocato Lina Fiorilli, vice-sindaco di San Bartolomeo in Galdo, ho avuto l’opportunità di approfondire insieme ad altri studiosi della materia quali il giovane Presidente dei laureati in giurisprudenza dell’Università del Molise, Michele Pappone, gli scritti dell’avvocato Donato Castellucci che ricostruendo la storia dell’Abbazia di Santa Maria del Gualdo a Mazzocco, fondata nel 1156 da San Giovanni Eremita da Tufara, si sofferma su una scoperta sensazionale in materia di diritto del lavoro.

Nello Statuto elaborato dall’Abate Nicola da Ferrazzano nel 1331 e perfezionato da un confronto democratico con la comunità locale dall’Abate Nicola da Cerce nel 1360, successori di San Giovanni Eremita alla guida dell’Abbazia, tra gli altri “diritti e doveri“ veniva riportato il divieto del licenziamento in tronco senza giusta causa per i gualani (addetti al bestiame), gli stallieri, i famuli (domestici) e i salariati, anticipando di cinque secoli Karl Marx e di 610 anni il varo dello Statuto dei Lavoratori che prevede all’articolo 18 la stessa tutela.


Trattasi dell’atto costitutivo del comune di San Bartolomeo in Galdo appartenente ai tenimenti dell’Abbazia di Mazzocco che comprendevano gran parte del Molise e della Capitanata.

Per la prima volta in uno Statuto veniva posta attenzione ai diritti della persona prevedendo tutele per le donne e i fanciulli, sanzionando il servilismo e sancendo il principio della pacificazione e del garantismo.

Per comprendere meglio il rilievo storico di questo centro culturale e religioso fondato da un molisano secondo la Regola di San Benedetto mi limito a segnalare le bolle papali di Adriano IV del 1156, di Clemente III del 1188, di Celestino III del 1192 e di Innocenzo III del 1208, e gli Atti di Protezione del Re Guglielmo il Normanno del 1187, dell’Imperatore Federico II di Svevia del 12 agosto 1209 e l’autorizzazione concessa all’Abate Nicola da Ferrazzano nel 1331 dal Re Roberto d’Angiò. Tra i principali sostenitori dell’Abbazia troviamo in quel periodo Guglielmo Borrello Signore di Agnone, i conti di Molise, i conti di Loretello e altri esponenti della Capitanata, della Campania e del Molise.

Questi riferimenti aiutano a capire il rilievo culturale, storico e sociale dell’opera di San Giovanni Eremita da Tufara, e degli Abati che operarono dopo di lui a Santa Maria del Gualdo di Mazzocco fino al 1456 quando il terremoto che sconvolse il Molise distrusse l’Abbazia.

Bisogna evitare che passi inosservata, una notizia sensazionale come questa, che conferma la vitalità di un Sud dimenticato che anticipa grazie all’azione di due Abati molisani (Nicola da Ferrazzano e Nicola da Cerce) di secoli un principio di civiltà qual è il divieto di licenziamento senza giusta causa offrendo una chiave di lettura sul contributo della dottrina cristiana nella formulazione di un principio di tutela giuslavoristica fondamentale.

Sulla questione c’è necessità di continuare a scavare negli archivi di Napoli ed auspico che i docenti di diritto del lavoro dell’Università di Bologna e dell’Università del Molise che ho già attivato possano riprendere e rilanciare sul piano scientifico una tematica che è al centro del confronto istituzionale, politico e parlamentare italiano con il Jobs Act.

Sono convinto che il professor Franco Focareta e la professoressa Luisa Corazza confermeranno la propria attenzione sul punto e seguiranno insieme al dottor Michele Pappone l’evolversi dell’acquisizione della documentazione d’archivio già menzionata nei suoi scritti da Padre A. Casamassa, uno dei più accreditati docenti dell’Università Lateranense, oltre che dall’avvocato Donato Castellucci.

Per il Molise e per la nostra Università si apre uno spazio interessante di valenza nazionale sull’idea di società da costruire nel rapporto tra Capitale e Lavoro, sul valore dell’articolo 1 della Costituzione e sull’errore strategico di un pensiero miope che pensa di sostenere un modello di sviluppo disconoscendo i diritti della persona che lavora. Quello che nella concezione culturale cristiana pre-marxista del 1331 era un valore acquisito in termini di civiltà oggi non può diventare lo scalpo da portare a Berlino per ingraziarsi la Merkel, la Banca centrale europea e la finanza speculativa globale.

1 commento:

Antonio Vinciguerra ha detto...

Caro Antonio Bianco, dispiace constatare che nel riportare la “sensazionale” scoperta del Pietraroia non si faccia proprio menzione al tuo compaesano il prof. Fiorangelo Morrone, il quale nel suo libro edito nel 1994 dal titolo “S. Bartolomeo in Galdo: Immunità, franchigie, libertà statuti” ha inserito una TRATTAZIONE APPROFONDITA (vedi pagine 143-144 op.cit.) sulla questione della rescissione di contratti per “causa iusta” o per “nulla legitima causa” per gualani,stallieri e domestici, anticipando sicuramente gli scritti di Donato Castellucci.
Di tale questione si parla nei “Capituli” di San Bartolomeo concessi dagli Abati di Santa Maria del Gualdo in Mazzocca con la finalità di favorire l’insediamento nell’attuale San Bartolomeo in Galdo.