«Fa parte del tuo gioco assurdo
girare intorno a te lo sguardo / come sei pulita si risveglia dentro me il
poeta / per un attimo di eternità...». Sul giradischi della vecchia radio a
valvole turbinava “Perché ti amo” dei Camaleonti. Era uno dei successi musicali
dell’estate 1973. Un anno in cui succedevano tante cose nel mondo e in Italia,
ma non nel mio piccolo paese dove la vita scorreva seguendo le cadenze delle
stagioni e dove un tragico fatto poteva travolgere l’intera comunità. Frotte di
bambini riempivano le strade del quartiere. Passavo la bella stagione a giocare
a pallone con i miei compagni, ma al crepuscolo una voce interrompeva i miei
gioghi infantili: «A cenare!». Era mia madre. A quell’ora in casa scendeva un
silenzio quasi religioso per il telegiornale delle 20.
Guai se volava una mosca, mio padre
lanciava uno sguardo minaccioso che mi immobilizzava. Il televisore era entrato
in casa da poco, ma a me quasi dispiaceva, non potevo più andare al vecchio
baretto vicino casa, dove la sera ci si riuniva per guardare i film western,
mentre i grandi giocavano a tre sette e scopa.
Spesso capitava che non arrivavo a
vedere la fine del film e mi addormentavo sulla sedia costringendo il vecchio
barista a chiamare mia madre per portarmi a letto. Ma l’estate era anche il
ritorno degli emigranti. Ciò significava aspettare con trepidazione che i
parenti arrivassero dalla Svizzera. Luogo misterioso e magico per me bambino
che restavo confinato nel piccolo borgo. La cioccolata, il Nesquik e i
pantaloncini Adidas, una volta all’anno arrivavano in casa come doni speciali,
ma non c’era nessun Babbo Natale a portarli, erano i miei parenti che tornavano
con le loro macchine scintillanti dalle targhe sconosciute.
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