Crepa interna, spopolamento Fortore |
di Antonio Di Stazio
Debbo innanzitutto confessare di provare ancora oggi, dopo
tanto tempo (sono andato definitivamente via dal paese nel 1984), un forte senso
di vuoto, una sorta di “colpa” per non aver avuto la forza di restare, per
tentare di migliorare (com’è naturale per qualsiasi membro di una comunità) le
condizioni di vita di chi, come me, è nato e cresciuto in un territorio lontano
dalla storia – quella che conta – poiché da sempre abbandonato a se stesso da
una classe politica inetta, incapace anche solo di pensare ad una prospettiva
di progresso sociale ed economico.
Allora – ma la cosa vale ancora più per i giovani d’oggi,
tenuto conto della situazione in cui versa oggi il mio paese a distanza di
oltre trent’anni – il sogno di un giovane di ventisei/ventisette anni era
quello di realizzare le proprie (legittime) aspettative di vita e di lavoro in
luoghi in cui ciò fosse più facile o possibile, anche a costo di tagliare le
proprie radici.
Oggi posso dire che il sogno l’ho effettivamente realizzato,
lontano da Foiano e dalla valle del Fortore, ma mi rendo conto di avere pagato
un prezzo altissimo, tanto che ogni volta che torno al mio amato paesello mi
vedo sopraffatto da un immenso magone, da quel senso di colpa che nel tempo è
cresciuto dal momento stesso in cui iniziavo ad allontanarmi. Ricordo con
immutato affetto il periodo spensierato del liceo a San Marco dei Cavoti,
benché già allora (avevo appena quindici anni) ho dovuto barcamenarmi nel
gestire da solo (i miei genitori e la mia unica sorella lavoravano in Svizzera,
dove li raggiungevo nel periodo delle vacanze scolastiche) le necessità di vita
e di studio.
Quel periodo rappresenta comunque la parte più importante
della mia vita, poiché le difficoltà quotidiane hanno forgiato fortemente il
mio carattere, tanto che il periodo degli studi universitari (a Napoli) li ho
vissuti con leggerezza, senza particolare sforzo, come pure il successivo praticantato
presso uno studio legale a Benevento.
Posso dire che essere oggi un magistrato della Corte dei
conti, dopo tanto girovagare, rappresenta non soltanto il coronamento di un
sogno di una persona ma anche – o almeno spero che lo sia – un segno di riscossa
di un territorio povero e dimenticato di cui tale persona è espressione.
Testimonianza di Antonio Di Stazio (nella foto) per il progetto "Crepa interna". Dettagli su > https://www.salvatorepicciuto.it/crepa_interna-r11900
Nessun commento:
Posta un commento