Un Sud messo in ginocchio dalla
spending review all’italiana. E non c’è governo nazionale che tenga. Così a
pagare il conto delle politiche di austerità sono soprattutto le regioni
meridionali.
A dirlo non è qualche nostalgico neoborbonico, ma l’Associazione
per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Secondo le ultime elaborazioni Svimez,
infatti, anche quest’anno la scure che si abbatterà sulla spesa pubblica
meridionale (in percentuale sul Pil) sarà il doppio di quella del centro-nord:
il 6,2% contro il 2,9%.
Non solo. Anche i tagli alla
spesa in conto capitale non andranno di pari passo: il 2,1% in meno per i meridionali e l’0,8% per gli
abitanti al di là del Tronto. Difatti, negli ultimi anni il ministero
dell’Economia ha saputo ben indirizzare le sue sforbiciate: il Sud ha subìto
riduzioni da due a tre volte in più rispetto al centro-nord: rispettivamente
-1,6% e -0,5% nel 2013 e 1,9% e 0,7% nel
2014.
Non va meglio nel lungo periodo.
In dieci anni, dal 2001 al 2012, al Sud la spesa in conto capitale è scesa del
58%, passando da 16,5 a 6,9 miliardi di euro. Al centro-nord invece è calata
del 10%, passando da 3,7 a 3,3 miliardi di euro.
In soldoni significa che i 791
euro attribuiti a ogni meridionale nel 2001 dopo undici anni sono diventati
334. Quasi la metà. Mentre i 99 euro destinati pro capite alle aree sottoutilizzate
del centro-nord sono scesi appena a 85.
“Sotto l’etichetta della spending review si sono nascosti una serie di tagli che, soprattutto con riferimento alle spese in conto capitale, hanno esercitato un effetto depressivo sull’economia dell’area, amplificando i divari regionali”, si legge nello studio Spending review e divari regionali in Italia che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista Economia Pubblica-The Italian Journal of Public Economics.E come se non bastasse sulle ustioni l’acqua bollente. A dare un altro colpo alla già disastrata economia meridionale ci pensa l’austerità: nel 2015 il 9,5% del Pil al Sud contro 6% del centro-nord. Sempre secondo le stime Svimez le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari Governi (il cui valore complessivo arriva a oltre 109 miliardi di euro nel 2014) sono pesate più nel Mezzogiorno rispetto al centro-nord.
Nello specifico il peso delle
manovre sul Pil per il 2013 sono assai differenti a livello territoriale: 5,5%
nelle regioni centro-settentrionali e 7,8% in quelle meridionali. Stesse
dinamiche negli anni successivi: per il 2014 l’impatto è risultato del 5,9% al centro-nord
e dell’8,7% al Sud. E cresce ancora nel 2015, arrivando al 6,8% a livello
nazionale. Ma se al centro-nord il peso si ferma al 6%, al Sud sale fino al
9,5%.
Per non parlare poi del sostegno
alle imprese. Nel settore pubblico allargato - che comprende Pa ma anche colossi
quali Enel, Eni, Poste italiane, Ferrovie dello Stato - la quota totale è calata
dal 36,5% del 2001 al 30,2% del 2012.
E proprio nel 2012 le spese d’investimento delle aziende pubbliche nel Mezzogiorno
erano pari a 215 euro pro capite, contro i 318 del centro-nord. Nel caso delle
imprese pubbliche locali lo scarto era ancora più ampio: rispettivamente 62 e
188 euro.
“Sono gli effetti di una spending review all’italiana, poco definita e poco realizzata, che non ha interessato effettivi sprechi bensì un crollo generalizzato di investimenti pubblici e di incentivi alle imprese”, chiosa l’associazione.
Un crollo che rischia però di
travolgere l’intero Sud.
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