lunedì 11 novembre 2019

Briganti della Valfortore

di Antonio Bianco

Una delle cause principali del brigantaggio post-unitario nel Fortore, ed in tutto il meridione d’Italia, è l’estrema miseria della classe contadina. In questa fase storica la proprietà agraria è nelle mani di poche persone: questi danno in fitto un pezzetto della loro terra ai contadini in cambio di un canone altissimo, altre volte invece i proprietari terrieri chiamavano direttamente il bracciante a lavorare la loro terra redistribuendolo in natura. Ma a far traboccare la goccia dal vaso ci pensa il nuovo governo unitario introducendo la leva obbligatoria. 


Il brigantaggio diventa così una reazione politico-sociale cui partecipa gli ex soldati di Francesco II, i pastori e i contadini poveri. Da parte sua il nuovo governo unitario sceglie la via della repressione come risposta politica alla miseria della classe contadina meridionale, generando una vera e propria guerra civile. Nella Valfortore le prime notizie sul brigantaggio si hanno nel giugno 1861: «I briganti del circondario di San Bartolomeo in Galdo costituito da 16 Comuni distaccati dalle province di Molise, Capitanata e Principato Ultra, dal bosco Toppo dei Felci e dal bosco Mazzocca che si inoltra per notevole lunghezza in Capitanata, si preparano ad invadere gli abitati e ad abbattere gli stemmi sabaudi» (Luisa Sangioluo/Il brigantaggio nella provincia di Benevento).

Dal bosco Mazzocca – il bosco si trova tra il territorio di Baselice e quello di Colle Sannita – un gruppo di “briganti”, capeggiato da un certo Francesco Saverio Basile – chiamato il “Pelorosso” – inizia una serie di azioni militari contro tutte le istituzioni locali che rappresentano il nuovo governo unitario. In effetti il bosco in questione diventa la base logistica e strategica per i “briganti” del Fortore, dal quale controllano tutto l’Alto Sannio e diventa inoltre l’anello di congiunzione con il brigantaggio della vicina Puglia. 

L’importanza di questa base strategica viene riconosciuta dal Governatore di Benevento dell’epoca che facendo rapporto al ministero dell’Interno, scrive: «Tra i comuni di Castelvetere e Baselice è un bosco chiamato Toppo di Felci e Mazzocca il quale cominciando da un punto quasi centrale tra i detti due comuni e gli altri di Colle e di S. Marco dei Cavoti, s’inoltra nella capitanata per molte notevole lunghezza. In questo luogo appunto è il covo dei Briganti. Di là essi minacciano accennando ora l’uno ora all’altro comune e dal Toppo di Felci, donde mi si dice si scoprano i dintorni a molta distanza, hanno l’opportunità di scorgere l’avvicinarsi della forza o di altre persone. 

Quale sia il numero dei briganti, chi propriamente, e donde venuti, non è stato possibile minutamente investigarlo. Dal breve cenno che ho esposto si rileva che l’agitazione maggiore è nei comuni di Colle, San Marco dei Cavoti, Baselice e Castelvetere». Il generale Branzini allora elabora un piano per distruggere le bande dei “briganti” che operano nel Fortore: impone il divieto d’accesso in montagna ai contadini, processando per brigantaggio ogni trasgressore; distrugge tutti i pagliai e le murature delle masserie abbandonate ce possono servire da rifugio.

Malgrado questi provvedimenti repressivi, il “brigantaggio” procede con successo fino a spingere il nuovo governatore di Benevento, Giovanni Gallarini, nel Fortore con circa 200 uomini della Guardia Nazionale; nel mese di settembre quest’ultimo è a Baselice. Tuttavia verso la fine del 1861 il “brigantaggio” fortorino subisce una battuta d’arresto: il “Pelorosso” è catturato e fucilato.

Nella primavera/estate del 1862 il “brigantaggio” riprende con maggiore forza in tutta la provincia, ad opera di un capobanda rimasto famoso nella storia della zona: Michele Caruso. E’ questi un pastore di Torremaggiore (PZ), nominato colonnello dallo stesso Francesco II, che attestatosi in Capitanata coordina le azioni delle bande nella provincia di Benevento, Campobasso e Foggia in favore della causa legittimista del re borbonico. Alle dipendenze del Caruso opera nella Valfortore il gruppo di Marco De Masi, di San Marco dei Cavoti, ex servitore dei baroni Petruccelli di Baselice: esso è costituito all’inizio da circa 14 uomini, fino a raggiungere nel novembre 1862 un effettivo variante dai 24 ai 30 individui. 

«Fra tutti i briganti del Fortore, quello che è divorato dall’ambizione di diventare luogotenente del colonnello Michele Caruso, è Antonio Secola di Baselice» (Luisa Sangiuolo/opera cit.).Il Secola, terzo di quattro figli, nasce nel piccolo centro fortorino il primo marzo 1834 (qui la studiosa sbagliala data di nascita che è due anni prima: il 5 ottobre 1832, nda). Si sposa e avrà quattro figli. Esercita l’attività di muratore fino alla metà del luglio 1862 sino quando entra in contatto con i “briganti” della zona, tra cui i fratelli Lisbona di Baselice, appartenenti alla comitiva Caruso. Il 1863 è l’anno in cui il nuovo governo unitario fa il maggiore sforzo militare per mettere fine al brigantaggio: «E’ l’anno in cui Giuseppe Schiavone, Gian Battista Varanelli, Cosimo Giordano, Vincenzo Ludovico “Pilucchiello”, Teodoro Ricciardelli, Giuseppe Del Grosso, Marco De Masi, Felice Morgarella, Luciano Martino, Antonio Secola, a capo di grandi o piccole formazioni brigantesche, infieriscono nei territori del Molise, Del Sannio, del Beneventano con scorrerie e colpi di mano» (Gianni Vergineo/ Il Sannio Brigante).

Il generale Emilio Pallavicini allora assume il comando speciale della zona militare del beneventano e del molisano. Il cerchio intorno alle bande del Fortore comincia a chiudersi. Marco De Masi, che è stato assoldato dal barone Petruccelli di Baselice per la causa legittimista, si costituisce volontariamente in carcere. Oltre alla defezione di piccoli briganti, il 1863 è l’anno della cattura e fucilazione del colonnello Michele Caruso. Il Secola a questo punto è sempre più isolato: nel febbraio del 1864 riceve ricovero nella casa di poveri contadini. Il brigante baselicese allora inizia a medita una sua possibile consegna alla Guardia Nazionale; cosa che avviene il 2 giugno 1864. 

Condotto in Baselice, alla presenza del sindaco Petruccelli, del brigadiere dei carabinieri e del capitano della guardia nazionale, accusa i notabili locali di aver fornito alle bande di Caruso viveri presso il luogo “Toppo dei Felci” sopra il bosco Mazzocca. «L’ambiguità dei comportamenti – scrive Vergineo – di certi maggiorenti, ufficialmenti liberali, occultamente compromessi con il vischioso ambiente borbonico- brigantesco, per paura o per calcolo, gioca a favore di soluzioni assolutorie. Paradigmatico è il caso del barone Rosario Petruccelli di Baselice, sindaco del Comune, e del nipote, capo della guardia nazionale. I rapporti dei due con le bande De Masi e Caruso non sembrano dettati da condizioni di necessità. Tanto più se si considera l’atteggiamento protettivo assunto nei confronti del brigante concittadino Antonio Secola, una figura trasformistica di notevole intelligenza, capace di alternare la militanza nella Guardia nazionale con imprese brigantesche, (…) Orbene, finito Caruso, anche la stella di Secola tramonta. E, quando avverte sul collo il fiato dei cavalli incalzanti dell’esercito, decide di arrendersi e vuotare il sacco (…). I Petruccelli sembrano esposti alla rovina, senza scampo. Il brigante pensa forse di alleggerire il suo fardello trascinandosi dietro la potente famiglia. Ma è un illuso. Sfugge sì alla pena di morte, ma non ai lavori forzati. Per i Petruccelli, come per quelli della loro classe, la vita continua a scorrere senza turbamento e senza mutamento. I giudici sono della stessa razza padrona». 

Infatti il Secola è spedito al tribunale militare di Caserta che lo condanna ai lavori forzati per essersi volontariamente costituito con sentenza del 21 gennaio 1865; morirà nel carcere di Portolongone, sull’isola d’Elba, per edema polmonare, il 21 aprile 1885, all'età di 50 anni. Con la consegna del Secola ha in sostanza fine il brigantaggio nella Valfortore; il brigante baselicese pur svolgendo un ruolo marginale nella lotta contro i piemontesi, è ritenuto uno tra i più abili e astuti capibrigante. 

Ecco cosa scrive di lui il prefetto di Benevento Decoroso Sigismondi: «Tra le bande di briganti che sogliono infestare questa provincia la più molesta è quella che sotto gli ordini di un tal Secola e composta da undici masnadieri a cavallo travaglia ferocemente e a preferenza il circondario di S. Bartolomeo in Galdo (F. Morrone/ Storia di Baselice e dell’Alta valle del Fortore). Il brigantaggio è vinto anche nel Fortore, ma le cause che lo hanno generato restano irrisolte, così come la “questione meridionale”, di cui «il brigantaggio è una disperata denuncia».

Pubblicato sul settimanale Weekend (2002)

Fonte: https://sito.libero.it/baselice/

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