La Zingarella (foto: Morelsa Barbato) |
Ogni
essere umano resta fortemente legato ai ricordi della sua infanzia e della
prima giovinezza. La prima tappa della nostra esistenza ci coinvolge, forse
ancor di più della seconda, perché l’adolescente scopre, giorno dopo giorno,
quel mondo, dove l’affettività, le conoscenze, i rapporti interpersonali, l’ambiente,
la scuola, la vita sociale, il territorio lo terranno sempre legato alle sue
origini. Un mondo dove l’ottimismo predomina fortemente anche sulle negatività.
Il ricordo dell’infanzia e della prima giovinezza sono tanti e, molti di essi,
sono legati anche alle varie festività, momenti gratificanti per un soggetto in
formazione.
Il
ricordo che mi sovviene, di cui ho tuttora una limpida visione, sono le
celebrazioni festive sia laiche che religiose; tra queste una molto sentita,
non si vedeva l’ora che arrivasse, era il Carnevale. Di certo ogni comunità la
festeggiava con peculiarità che la differenziavano dalle altre per alcune
caratteristiche legate alla tradizione.
Negli
anni ’50, gran parte della nostra comunità viveva in condizioni di disagio
economico che è stata ed è causa di una emigrazione massiccia ed inarrestabile,
le cui conseguenze sono sotto gli occhi
di tutti.
Per
la nostra comunità, il Carnevale aveva inizio il 17 Gennaio, festa di S.
Antonio Abate, detto “Sant’Antuono”, ricordata anche per la sacra benedizione
degli animali nella piazza antistante la Chiesa della Madonna delle Grazie,
detta del Convento. Per noi ragazzi era aspettata, perché, a partire da quel
giorno, nelle case si preparavano dei dolcetti come “le scartellate”: rosette,
ottenute dall’impasto di uova e farina, ammassate su uno spianatoio; di poi, ridotto
in “lagana” con il mattarello, veniva tagliata in strisce; infine, unite in forma circolare, venivano fritte e
condite con miele o zucchero. Vere leccornie!.
A quell’epoca i dolci venivano preparati e
consumati solo in certe circostanze.
Nei
giorni a seguire, maggiormente i giovedì antecedenti l’ultimo di Carnevale, le
nostre mamme, preparavano in aggiunta altri dolcetti, sempre fatti in casa,
come la “cecerenata”, gli “strufoli”, la “pizza dolce”, farcita con ricotta e
riso, cotta nel forno. Sono da
annoverare i “panzerotti”: dolci, a forma di mezza luna, che, farciti con
marmellata o “sanguinaccio” erano attesi, con l’acquolina in bocca, da noi
ragazzi. Anche gli adulti accompagnavano con un buon bicchiere di vino i
“panzerotti rustici”, ripieni di formaggio e uova.
L’apice
della festa, sempre a base dei dolci caratteristici, veniva raggiunto nelle
giornate dell’ultimo giovedì di Carnevale
e del martedì grasso.
Per l’ultimo giorno di Carnevale veniva
preparato anche un pranzo più ricco; si servivano, di solito, “tagliatelle” o “cavatelli”, conditi con ragù
di carne di maiale. Un altro pezzo forte della cucina baselicese, in tale
contesto, era “la pizza con patate”, che, farcita con tocchetti di salsiccia e
altro ben di Dio, allietava i buon gustai adulti, i quali lo innaffiavano con
un buon bicchiere di vino. Si preparavano anche le “zeppole”; esse erano fatte
con pasta lievitata e fritta.
A
questo punto ci si chiederà: ma i ragazzi come vivevano il Carnevale?. Ebbene,
i preparativi iniziavano già dal 17 gennaio con una gran voglia di viverlo intensamente,
attivando l’ingegno; si preparavano maschere, che venivano realizzate con un
cartone; si ideava la figura, che, disegnata e pitturata, una volta ultimata,
rendeva orgoglioso l’artefice. Essa doveva coprire il volto per la
“mascherata”, per non essere riconosciuto.
I ragazzi più spigliati e sicuri di sé in numero di quattro/cinque
preparavano delle scenette comiche o recitavano delle filastrocche, che
presentavano a casa delle famiglie, da cui potevano ottenere qualche soldino o un pezzetto di salsiccia.
In
alcune serate, le famiglie si scambiavano visite, dove gustavano le cibarie che
caratterizzavano il Carnevale. La tradizione non poteva essere recisa, né
potevano mancare i canti e i suoni delle fisarmoniche per favorire anche una
serata danzante. In altre parole, anche
se per poco, ci si dimenticava del nebbioso quotidiano.
Un’altra
caratteristica del carnevale baselicese era la rappresentazione de “La
zingarella”. Il
signor Alberino del Vecchio, soprannominato “Saraca” negli anni ’50, era il
regista della tradizionale rappresentazione, della durata di circa mezz’ora,
dove personaggi vari con appositi costumi, dal mago ai diavoli, da Pulcinella
alla Regina si scontravano perché il
bene avesse il sopravvento. Essa veniva rappresentata, per lo più, l’ultima
domenica del Carnevale in più luoghi della cittadina, dove un gran numero di
persone assisteva divertita.
La
ricompensa, per chi avesse voluto contribuire, era volontaria e costituita da
qualche litro di vino, da salsicce, formaggio, elementi perché gli “attori”
potessero ritrovarsi, per una meritata
cenetta, dopo aver portato il sorriso su tanti volti.
Ciò
che in quel periodo caratterizzava il Carnevale, era la semplicità del vivere,
dove la solidarietà e l’incontro tra i membri della nostra comunità
costituivano elementi di coesione sociale e di trasmissione di una tradizione.
*docente in pensione
*docente in pensione
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