martedì 25 novembre 2014

Crolla il sostegno all'industria del Sud

In base ad elaborazioni SVIMEZ, su dati del ministero dello Sviluppo economico, dal 2001 al 2012 le agevolazioni concesse all’industria italiana sono crollate del 51,5%, passando dai 10,1 miliardi di euro annui del triennio 2001-2003 ai 4,3 del triennio 2010-2012.

A pagare di più è stato però il Sud. Dal 2001 al 2012 infatti le agevolazioni concesse all’industria del Mezzogiorno sono crollate del 80,5%, passando dai 6,4 miliardi di euro annui del triennio 2001-2003 agli 1,2 del triennio 2010-2012. Situazione diversa al Centro-Nord, dove le agevolazioni concesse all’industria sono scese negli stessi anni del 24,3%, passando dai 3,7 miliardi euro annui del triennio 2001-2003 ai 2,8 del triennio 2010-2012.

La tendenza si conferma anche sul fronte delle agevolazioni erogate. Nel periodo in questione, in dieci anni, le agevolazioni erogate all’industria meridionale flettono del 67%, da 3,9 a 1,3 miliardi di euro annui, il triplo del Centro-Nord (-22,4%).

(Fonte: Terra e dignità)

domenica 23 novembre 2014

Unità d’Italia: la strage dimenticata di Roseto Valfortore

Il lettore che dopo aver visto il titolo si appresta a leggere l’articolo si aspetta la solita storia retorica di altri eroi che si sono immolati per l’Unità d’Italia. Ma si sorprenderà, invece, nel leggere l’altra storia, quella nascosta, quella censurata, che in questi ultimi decenni sta “urlando” e chiede di venir finalmente alla luce. E’ una storia come tante che, o per vergogna, o per convenienza, o per quant’altro, è stata per decenni tenuta segregata in un cassetto.

Roseto Valfortore è un paesino di mille anime arrampicato sulle montagne dell’Appennino Dauno, in provincia di Foggia. Un luogo accogliente dove gli abitanti hanno ancora il tempo e la volontà di regalare un sorriso ai visitatori che vi giungono. Ma è anche un territorio che ha dentro di sé una ferita storica che mai nessuno gli ha riconosciuto; questa è la vicenda di 4 ragazzi di appena vent’anni e di un adulto, padre di famiglia, che furono trucidati dai garibaldini a causa delle loro simpatie per i Borbone.
Tutto avvenne la sera del 7 novembre 1860 quando i 5 furono allineati ad un muro e passati alle armi da chi era appena sopraggiunto e definiva se stesso “un liberatore”. A nulla valsero le suppliche di pietà che i ragazzi invocarono ai carnefici, a nulla valsero le grida delle donne che assistettero impotenti all’esecuzione.

Questa triste vicenda, ancora una volta, non sarebbe mai venuta fuori se non ci fosse stata la caparbietà e la voglia di sapere di uno studioso, il prof. Michele Marcantonio, che scrisse nel 1983 un libro in cui raccontava l’eccidio (Abbasso la guerra, ossia tre passi a ponente Italia Letteraria, Milano 1983).

Libro, ancora una volta, corredato da documenti storici ufficiali che provavano l’accaduto, ma che furono deliberatamente ignorati. I padri della patria, infatti, dovevano apparire ancora una volta senza macchia e senza peccato! Questo fu l’ordine impartito agli storici. Proprio grazie a tali testimonianze scritte si è potuta realizzare una ricostruzione dettagliata di cosa avvenne quel triste giorno; si riporta integralmente uno stralcio tratto da Il Frizzo, giornale di Lucera: “I cinque vennero allineati lungo il muro che guardava alla torretta, di fronte al plotone. L’aria rigida, la pioggia, che ora con furia, il vento, fatto ora cattivo, che tempestava il viso dei condannati con bordate d’acqua gelida e dura come grossi grani di sabbia, e, forse, il contenuto di quel biglietto consigliarono il generale a far presto, a sbrigarsi.

Nell’estremo tentativo di muovere a pietà, tre dei condannati, cioè Giuseppe Cotturo, Vito Sbrocchi e Leonardo Marrone, s’inginocchiarono nel fango: – Pietà! Siamo innocenti! Parole e lacrime alla pioggia e al vento che mugghiava nella siepe e sui tetti. – Pietà di noi! –, fece Nunzio. Il quinto, più di là che di qua (è Liberato Farace, 22 anni appena, ferito a morte presso la propria abitazione dalle camicie rosse) era ricaduto in un’assenza totale e si teneva ritto al muro come un tronco senza vita. Il sergente rizzava in alto la sciabola come un ricurvo dito d’acciaio guardando fisso il generale. Il sergente non batteva ciglio. Ecco… Il generale fece con l’indice un cenno distratto, quasi meccanico. La sciabola piegò verso terra. Fuoco! I primi tre, a partire dall’angolo, caddero fulminati. Al quarto un secondo colpo. Il quinto, Liberato Farace, indenne. Il fuciliere di grazia esplose su di lui il terzo e il quarto colpo. Solo quest’ultimo spinse fuori da quel giovane corpo il lieve alito di vita residuo.” E’ ora di iniziare a raccontare una storia diversa del Risorgimento: è iniziata al Sud un’inarrestabile “rivoluzione culturale” atta a far sì che si cancelli la retorica e che si guardi in faccia la realtà di quello che successe 150 anni or sono. Documenti come questo e come tanti altri devono servire per risvegliare la voglia di verità che gli storici, assoggettati al potere, hanno perso. E’ una questione soprattutto di libertà: soltanto quando uno studioso potrà scrivere le verità storiche senza dover seguire una “linea comune”, allora si sentirà libero.

(FONTE) Briganti: Unità d’Italia: la strage dimenticata di Roseto Va...

Anche lo Sporting Baselice dice no alle trivelle


(foto tratta da facebook)

venerdì 21 novembre 2014

PINO APRILE ABBRACCIA IL CONCORSO DI POESIA DIALETTALE

Dopo il successo dell’ultima edizione del concorso “Radici Poetiche” dedicato a Massimo Troisi, non solo per i numerosi lavori pervenuti da tutta Italia, ma per la qualità degli stessi, come ha ben sottolineato il prof. Aniello Russo che anche quest’anno presiederà la giuria di esperti che vede tra i giurati anche Corrado Taranto e Gianni Mauro, il concorso arriva in Svizzera, a Lucerna, dove si recherà l’editore Donatella De Bartolomeis, grazie ad Antonia Cianciulli, referente del concorso per gli Italiani all’estero.

Ad abbracciare l’iniziativa come Presidente Onorario Pino Aprile che dichiara “i concorsi di poesia dialettale spesso sono intesi come folklore, perché il dialetto è stato a lungo e a torto ritenuto un ghetto, una scelta minoritaria. Mentre l'uso della parlata di casa è una ricerca di significati profondi, di radici che andrebbero perse, di costruzioni verbali spesso nate in una cultura contadina e riadattate alla modernità. Pasolini lo ha fatto capire come pochi; e questo recupero ha raggiunto vette sofisticatissime: si pensi soltanto alla costruzione di una lingua personale e poetica a base dialettale, compiuta da Albino Pierro (più volte candidato al Nobel), con le sonorità della parlata di Tursi, il suo paese. Ma il concorso è intitolato a Massimo Troisi, che, come Eduardo, ha dimostrato che si può essere universali, ci si può far capire da tutti, usando il proprio dialetto. Il napoletano, è vero, uno degli idiomi più teatrali che esistano, che si fa comprendere anche solo con i toni e i suoni; ma pur sempre una scelta coraggiosa, per chi si rivolge non a un pubblico selezionato, come il poeta Pierro e altri, ma indistinto, attraverso il cinema, la televisione. Con queste iniziative si recuperano brandelli di identità”.

In Svizzera Rosaria Troisi, madrina del concorso sarà presente attraverso una lettera che ha scritto per il fratello Massimo, pubblicata sul Corriere della Sera “… incontro ragazzi che non erano nemmeno nati quando te ne sei andato. Gli racconto la tua storia, la storia di un timido ragazzo di provincia che non si è mai arreso di fronte alle difficoltà della sorte. E che alla fine ha vinto a dispetto di tutto. Loro sono già troppo grandi per credere alle favole, ma quando nel loro sguardo vedo accendersi un bagliore capisco che alla tua storia però ci stanno credendo, e che ai loro occhi riesci a incarnare un simbolo di speranza vera, come sei stato vero tu.”

Sul sito www.edizioniilpapavero.com il bando 2015. Segretario del concorso la giornalista Jenny Capozzi.

giovedì 20 novembre 2014

L’articolo 18 è nato 7 secoli fa. Fu scritto nel 1331 nel Fortore

di Leonardo Bianco

Pensate che lo statuto dei lavoratori, compreso l’articolo 18, sia nato grazie alle battaglie degli operai e alle lotte sindacali degli anni ‘60/’70? Sbagliato. Pare che il divieto di licenziare senza giusta causa sia stato messo nero su bianco per la prima volta sette secoli fa. E udite! Udite! Ad usufruirne furono i cittadini delle comunità del Fortore sotto la giurisdizione dell’abazia di Santa Maria del Gualdo a Mazzocca, oggi conosciuto come il santuario diocesano del beato Giovanni Eremita da Tufara.

Le regole furono introdotte in occasione della fondazione del borgo di San Bartolomeo in Galdo ad opera dell’abate Nicola da Ferrazzano intorno al 1330 che con una supplica chiese “il regio assenso a poter ripopolare un luogo privato o burgensatico (vale a dire terre possedute in proprietà libera) chiamato “San Bartolomeo”, totalmente privo di abitanti” come si legge nella ricerca realizzata dal giornalista Paolo Angelo Furbesco sul centro fortorino. Uno statuto redatto nel 1331 e perfezionato nel 1360 da un altro abate molisano: Nicola da Cerce. Regole frutto del confronto democratico, stando alle dichiarazioni di alcuni studiosi locali come Fiorangelo Morrone, storico baselicese. Ed è proprio in un libro dello studioso fortorino dedicato alle immunità, alle franchigie e agli statuti del 1994, che si fa riferimento allo statuto “relativo ai lavoratori gualani (braccianti), stallieri e domestici, da un punto di vista etico-sociale […]”. Una notizia rimbalzata nei giorni scorsi su alcuni organi d’informazione molisani, dopo una nota del vice presidente della giunta regionale del Molise Michele Pietraroia che richiamava l’attenzione del governo sull’articolo 18. “Una scoperta sensazionale – ha dichiarato a Ottopagine l’esponente del Pd - che conferma la vitalità di un Sud, e soprattutto di un territorio come il Fortore, dimenticato che anticipa grazie all’azione di due abati molisani di sette secoli un principio di civiltà qual è il divieto di licenziamento senza giusta causa offrendo una chiave di lettura sul contributo della dottrina cristiana nella formulazione di un principio di tutela giuslavoristica fondamentale”.

Il rappresentante del governo molisano, sulla questione, ha interpellato alcuni docenti universitari, il professor Franco Focareta dell’Università di bologna e la professoressa Luisa Corazza dell’Università del Molise, auspicando che la questione dell’articolo 18 “possa essere rilanciata sul piano scientifico una tematica che è al centro del confronto istituzionale, politico e parlamentare italiano con il Jobs Act”. Una notizia storica che, secondo Pietraroia, dimostra che i diritti dell’uomo non è questione posta da Marx nell’800 o dai sindacati nel secondo dopo guerra, ma è un principio di civiltà che nasce dalla Chiesa e che viene sancito grazie all’opera di due monaci benedettini eredi del beato Giovanni eremita da Tufara (Campobasso).

Per l’esponente molisano della sinistra Pd, “Renzi e il suo governo bene farebbero a venire nel Fortore e leggere lo statuto dei lavoratori scritto da Nicola da Ferrazzano e Nicola da Cerce, che 610 anni prima dello Statuto dei Lavoratori metteva al centro i diritti dell’uomo e la dignità degli operai (allora braccianti, stallieri e domestici). Regole che già allora prevedevano dignità del rapporto tra datore di lavoro e dipendenti. Sulla storia dello statuto nato sette secoli fa c’è l’impegno anche dell’amministrazione comunale di San Bartolomeo, così come affermato dal vicesindaco Lina Fiorilli, di voler proseguire nelle ricerche, per valorizzare la figura del fondatore del centro fortorino e soprattutto per approfondire la figura del beato Giovanni eremita che nel fortore fondò l’abazia di Santa Maria del Gualdo, circa nove secoli fa.

(Tratto dal quotidiano Ottopagine)

mercoledì 19 novembre 2014

L'articolo 18 nasce nel Fortore nel Trecento

Postiamo un interessante articolo pubblicato sul quotidiano online pensieridintegrazione.it a firma di Michele Pietraroia, ex segretario della Cgil Molise e attuale vicepresindente della Regione Molise.

Nel corso di un incontro avuto con l’avvocato Lina Fiorilli, vice-sindaco di San Bartolomeo in Galdo, ho avuto l’opportunità di approfondire insieme ad altri studiosi della materia quali il giovane Presidente dei laureati in giurisprudenza dell’Università del Molise, Michele Pappone, gli scritti dell’avvocato Donato Castellucci che ricostruendo la storia dell’Abbazia di Santa Maria del Gualdo a Mazzocco, fondata nel 1156 da San Giovanni Eremita da Tufara, si sofferma su una scoperta sensazionale in materia di diritto del lavoro.

Nello Statuto elaborato dall’Abate Nicola da Ferrazzano nel 1331 e perfezionato da un confronto democratico con la comunità locale dall’Abate Nicola da Cerce nel 1360, successori di San Giovanni Eremita alla guida dell’Abbazia, tra gli altri “diritti e doveri“ veniva riportato il divieto del licenziamento in tronco senza giusta causa per i gualani (addetti al bestiame), gli stallieri, i famuli (domestici) e i salariati, anticipando di cinque secoli Karl Marx e di 610 anni il varo dello Statuto dei Lavoratori che prevede all’articolo 18 la stessa tutela.


Trattasi dell’atto costitutivo del comune di San Bartolomeo in Galdo appartenente ai tenimenti dell’Abbazia di Mazzocco che comprendevano gran parte del Molise e della Capitanata.

Per la prima volta in uno Statuto veniva posta attenzione ai diritti della persona prevedendo tutele per le donne e i fanciulli, sanzionando il servilismo e sancendo il principio della pacificazione e del garantismo.

Per comprendere meglio il rilievo storico di questo centro culturale e religioso fondato da un molisano secondo la Regola di San Benedetto mi limito a segnalare le bolle papali di Adriano IV del 1156, di Clemente III del 1188, di Celestino III del 1192 e di Innocenzo III del 1208, e gli Atti di Protezione del Re Guglielmo il Normanno del 1187, dell’Imperatore Federico II di Svevia del 12 agosto 1209 e l’autorizzazione concessa all’Abate Nicola da Ferrazzano nel 1331 dal Re Roberto d’Angiò. Tra i principali sostenitori dell’Abbazia troviamo in quel periodo Guglielmo Borrello Signore di Agnone, i conti di Molise, i conti di Loretello e altri esponenti della Capitanata, della Campania e del Molise.

Questi riferimenti aiutano a capire il rilievo culturale, storico e sociale dell’opera di San Giovanni Eremita da Tufara, e degli Abati che operarono dopo di lui a Santa Maria del Gualdo di Mazzocco fino al 1456 quando il terremoto che sconvolse il Molise distrusse l’Abbazia.

Bisogna evitare che passi inosservata, una notizia sensazionale come questa, che conferma la vitalità di un Sud dimenticato che anticipa grazie all’azione di due Abati molisani (Nicola da Ferrazzano e Nicola da Cerce) di secoli un principio di civiltà qual è il divieto di licenziamento senza giusta causa offrendo una chiave di lettura sul contributo della dottrina cristiana nella formulazione di un principio di tutela giuslavoristica fondamentale.

Sulla questione c’è necessità di continuare a scavare negli archivi di Napoli ed auspico che i docenti di diritto del lavoro dell’Università di Bologna e dell’Università del Molise che ho già attivato possano riprendere e rilanciare sul piano scientifico una tematica che è al centro del confronto istituzionale, politico e parlamentare italiano con il Jobs Act.

Sono convinto che il professor Franco Focareta e la professoressa Luisa Corazza confermeranno la propria attenzione sul punto e seguiranno insieme al dottor Michele Pappone l’evolversi dell’acquisizione della documentazione d’archivio già menzionata nei suoi scritti da Padre A. Casamassa, uno dei più accreditati docenti dell’Università Lateranense, oltre che dall’avvocato Donato Castellucci.

Per il Molise e per la nostra Università si apre uno spazio interessante di valenza nazionale sull’idea di società da costruire nel rapporto tra Capitale e Lavoro, sul valore dell’articolo 1 della Costituzione e sull’errore strategico di un pensiero miope che pensa di sostenere un modello di sviluppo disconoscendo i diritti della persona che lavora. Quello che nella concezione culturale cristiana pre-marxista del 1331 era un valore acquisito in termini di civiltà oggi non può diventare lo scalpo da portare a Berlino per ingraziarsi la Merkel, la Banca centrale europea e la finanza speculativa globale.

lunedì 17 novembre 2014

Il brigante Secola nella bibliografia sulla vera storia del Risorgimento

* “Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d’Italia (1815-1818″
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* “Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860 – Il sergente Romano”
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* “Carmine Crocco Donatelli. Un Brigante guerrigliero”
Antonio De Leo Antonio, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1983
* “Briganti e senatori”
Alberico Bojano, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1997.
* “Briganti e piemontesi: alle origini della questione meridionale”
Aldo De Jaco, Rocco Curto Editore, 1998
* “A sud del Risorgimento”
Antonio Boccia, Napoli, Tandem, 1998
* “La Sicilia e il brigantaggio”
Luigi Capuana, Carlo Ruta (a cura di) Messina, Edi.bi.si., 2005
* “Dopo Teano: Storie d’amore e di briganti”
Aldo De Jaco, Lacaita, 2001
* “Il brigantaggio meridionale: cronaca inedita dell’Unità d’Italia”
Aldo De Jaco, Editori Riuniti, 1969
* “La chiamarono Unità d’Italia…”
Antonio Grano, Napoli, 2009
* “Il brigante Secola. La sanguinosa rivolta nel Fortore post-unitario”
Antonio Bianco, Benevento, Il Chiostro, 2011

* “I panni sporchi dei Mille”
Angela Pellicciari,(Liberal Edizioni)
* “I Savoia e il massacro del Sud”
Antonio Ciano, Grandmelò
* “Due Sicilie, 1830 – 1880″
Antonio Pagano – Capone, 2002
* “La conquista del Sud: Il Risorgimento nell’Italia Meridionale”
Carlo Alianello, Milano, Edilio Rusconi, 1994
* “Controstoria dell’Unità d’Italia, ribellione popolare e repressione militare 1860-1865″
Carlo Coppola, Lecce, MCE Editore 2003
* “Il Mezzogiorno e l’unità d’Italia”
Carlo Scarfoglio, Parenti Firenze
* “Il Brigantaggio nel Salento”
Carlo Coppola, Matino, Tipografie S. Giorgio, 2005
* “Storia d’Italia”
Denis Mack Smith, Roma-Bari, Giuseppe Laterza e figli, 2000
* “Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna”
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo, 2006
* “Eroi e briganti”
Francesco Saverio Nitti, Milano, Longanesi, 1946
* “La stangata”
Francesco Del Vecchio (2001) Ed. Libellula
* “I Lager dei Savoia“
Fulvio Izzo (1999), Ed. Controcorrente
* “Regno delle Due Sicilie- tutta la verita”
Gustavo Rinaldi
* “Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio”
Giordano Bruno Guerri
* “Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900)”
Gaetano Cingari, Reggio Calabria, Editori Riuniti 1976
* “Garibaldi,l’avventuriero, il massone, l’opportunista”
Gustavo Rinaldi, ed. Controcorrente
* “Il Brigantaggio dal 1860 al 1865″
Giuseppe Bourelly, Venosa, Osanna, 1987
* “La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti”
Gerlando Lentini
* “1860 – La stangata“
* “1861 Pontelandolfo e Casalduni. Un massacro dimenticato”
Gigi Di Fiore – Grimaldi & C. ed. 1998
* “I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli”
Gigi Di Fiore
* “Gli ultimi giorni di Gaeta. L’assedio che condannò l’Italia all’Unità”
Gigi Di Fiore
* “Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento“
Gigi Di Fiore, Ed. Rizzoli
* “Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento italiano“
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* “Maledetti Savoia”
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* “Donne contro: le brigantesse streghe dell’Appennino”
Maria Procino, in «SLM- Sopra il livello del mare» Rivista dell’Istituto Nazionale della montagna, n. 28, 2006
* “L’unità truffaldina”
Nicola Zitara, liberamente scaricabile in formato HTML o RTF
* “Il Sud e l’unità d’Italia”
Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso, (e-book)
* “La Storia Proibita -Quando i Piemontesi invasero il Sud-”
vari autori, Ed. Controcorrente, Napoli 2001
* “L’Unità d’Italia: nascita di una colonia”
Nicola Zitara
* “Tutta l’ègalitè”
Nicola Zitara, estratto dalla rivista Separatismo
* “Memorie di quand’ero italiano”
Nicola Zitara
* “Negare la negazione”
Nicola Zitara
* “L’invenzione del Mezzogiorno”
Nicola Zitara,
* “Contro la questione meridionale”
Carlo Capecelatro, Savelli, Roma
* “L’unità d’Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud”
M. R. Cutrufelli, , Bertani Editore, Verona
* “Don Josè Borges, generale catalano e guerrigliero borbonico, Diario di guerra”
Josè Borjes, Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2003
* “Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo”
Mario Iaquinta, Luigi Pellegrini Editore, 2002
* “Terroni”
Pino Aprile, Piemme 2010
* “Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del Sud”
Valentino Romano, Napoli, Crontrocorrente, 2007
* “Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco”
Marc Monnier, Lecce, Capone
* “Briganti e musica popolare dal nord al Sud”
Pierluigi Moschitti, Gaeta, Sistema Bibliotecario Sud Pontino
* “Il “brigantaggio” politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865″
Timoteo Galanti, Sant’Atto di Teramo, Edigrafital, 1990
* “Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari”
Massimo Dursi, Giulio Einaudi Editore, 1963
* “Storia del brigantaggio dopo l’Unità”
Franco Molfese, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1966
* “Brigantaggio e Risorgimento – Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia”
Giovanni De Matteo, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2000
* “Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l’Unità”
Vincenzo Carella, Fasano, Grafischena, 1974
* “Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore”
Leonida Costa, , Fratelli Lega, 1976
* “Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815)”
Francesco Barra, Salerno, S.E.M., 1981
* “I fuochi del Basento”
Raffaele Nigro, Milano, Camunia, 1987
* “Carmine Donatelli Crocco, La mia vita da brigante”
Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2005
* “Carmine Donatelli Crocco,Come divenni brigante”
Mario Proto (a cura di) – Autobiografia, Manduria, Lacaita, 1995
* “Una storia siciliana fra Ottocento e novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni”
Salvatore Vaiana, Barrafranca, Salvo Bonfirraro editore, 2000
* “Briganti, arrendetevi!: Ricordi di un antico bersagliere”
Ferdinando Mirizzi, Venosa, Osanna, 1996
* “Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario”
Francesco Gaudioso,Galatina, Congedo, 2002
* “Calabria ribelle. Brigantaggio e sistemi repressivi nel Cosentino (1860-1870)”
Francesco Gaudioso, Milano, FrancoAngeli, 1996
* “Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono”
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo Editore, 2001
* “Dossier Brigantaggio. Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità”
Francesco Mario Agnoli, Napoli, Controcorrente, 2003
* “La Capitanata fra briganti e piemontesi”
Giovanni Saitto, Edizioni del Poggio, 2001
* “La repressione del brigantaggio a Canicattì e dintorni da Francesco Bonanno a Cesare Mori”
Salvatore Vaiana, pubblicato in “Canicattì nuova”, Canicattì, 2002.
* “Josè Borjes,La mia vita tra i Briganti”
Tommaso Pedio (a cura di), Manduria, Lacaita
* “Con Dio e per il Re. Diario di guerra del generale legittimista”
Josè Borjes, Napoli, Controcorrente, 2005
* “La guerra cafona: Il brigantaggio meridionale contro la Stato unitario”
Salvatore Scarpino, Milano, Boroli Editore, 2005
* “Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri”
Raffaele Nigro, Milano, Rizzoli Editore, 2006
* “Il Regno perduto”
Antonio Ballarati, Napoli, Edizioni Iuppiter, 2012

La bibliografia (non completa) è stata stilata dal gruppobriganti.blogspot.com
Gruppo molto seguito su facebook, che ha all'attivo circa 180mila "I like"

venerdì 14 novembre 2014

Inaugurazione della "mezza" Fortorina, la rabbia dei sindaci del Fortore

Oggi è stato il giorno dell’inaugurazione, ma la Fortorina non tirerà fuori questa parte di territorio dall’isolamento. La rabbia e la delusione delle istituzioni del territorio, che hanno disertato la cerimonia odierna.

clicca qui sotto per vedere il VIDEO
(benevento.ottopagine.net)

Fortorina, spunta un progetto san Marco-Foiano da 136 milioni di euro

Alla vigilia dell’inaugurazione della Fortorina, domani (oggi per chi legge, ndb) ci sarà il taglio del nastro per l’apertura definitiva del tratto Benevento-San Marco dei Cavoti, spunta sul tavolo di qualche amministratore un’ipotesi di progetto di una variante della ex Strada statale 369 che da San Marco arriva fino a Foiano di Valfortore. E questa potrebbe essere una bella notizia, dopo le polemiche sull’utilizzo dei fondi previsti dal decreto “Sblocca Italia” per la variante al centro abitato del paese del torrone. Ma non mancano dubbi e perplessità in merito al progetto al quale sta lavorando l’Anas.

E a esprimere un giudizio a dir poco negativo sul progetto dell’azienda autostradale è il padre dello studio di fattibilità del passante di valico della Fortorina, il geologo Eliseo Ziccardi. Secondo il professionista, che da anni si occupa della Fortorina e che con la collaborazione dell’Università del Sannio ha redatto lo studio di fattibilità per la realizzazione di un passante che eviti ai cittadini dei comuni di Baselice, Foiano e San Bartolomeo il passo del Casone Cocca, un tracciato di circa 9 km, a fronte degli attuali 19 fatti di curve, quello dell’Anas “è un progetto folle”.

Il piano di interventi previsto dall’Azienda nazionale autostradale prevede un tracciato che dovrà collegare di circa 16 km che prevede una galleria di 2800 metri per un costo di circa 83 milioni di euro, mentre l’importo complessivo per realizzare l’intero tracciato è di 136,5 milioni di euro.

“Un progetto di cui non riesco a capirne la ratio – ha sottolineato il geologo – visto che non solo non accorcia le distanze ma la galleria prevista passerà in un tratto di territorio interessato da una storica frana. Da una prima lettura del progetto mi sembra di poter dire che non si sono previsti i rischi idrogeologici che il territorio presenta”.

Per l’esperto professionista, insomma, si è optato per un progetto che ha escluso il suo studio di fattibilità che prevede un tracciato costituito da una galleria di 1800 metri all’1% di pendenza, un viadotto di circa 4 km al 4% di pendenza e 1200 metri di gallerie (2) in trincee artificiali per un totale di 9 km di strada, con un taglio sull’attuale tracciato di circa 10 km. Un progetto che secondo lo studio di fattibilità dovrebbe costare all’incirca 100 milioni di euro. E sull’attuale progettazione alla quale sta lavorando l’Anas è intervenuto anche il sindaco di Molinara, Giuseppe Addabbo, in qualità di presidente del comitato dei sindaci nato 2 anni fa proprio per sostenere il lavoro del geologo Ziccardi presso gli enti e le istituzioni nazionali e regionali.

“Ancora una volta ci tocca constatare che le amministrazioni locali sono state escluse dalle decisioni che riguardano i propri territori. E’ avvenuto in precedenza con il progetto della variante al centro abitato di San Marco dei Cavoti e sta avvenendo adesso con l’ipotesi di progetto del secondo stralcio del quarto lotto della Fortorina. Eppure se non ricordo male un paio di mesi fa qualcuno ci aveva chiesto di fare presto e di fare proposte. Ma fare presto rispetto a cosa? Rispetto a chi? Se poi veniamo puntualmente esclusi da qualsiasi progetto”.

E il primo cittadino molinarese non manca di mettere l’accento sulle divisioni che caratterizzano le varie amministrazioni fortorine e lancia un appello al collega Gianfranco Marcasciano, sindaco di San Bartolomeo in Galdo. “Tocca il primo cittadino del comune più grande del Fortore, che deve tornare ad essere centrale rispetto al territorio fortorino, convocare un incontro con tutti i sindaci dei comuni interessati, compresi Molinara e San Marco dei Cavoti, è dar vita ad un’azione comune che ci permetta di fare la voce grossa con le istituzioni sovraccomunali. E credo che nella questione fortorina non può far mancare la propria voce la comunità montana”. Un richiamo all’unità dei comuni del Fortore, quello di Addabbo, con il quale spera che gli amministratori locali possano avere un peso decisivo sulle future scelte riguardo alla Fortorina.

Tratto dal quotidiano Ottopagine del 13 novembre

giovedì 13 novembre 2014

Basilicata: dove le multinazionali trivellano e l’economia muore

 Che cosa comporta essere la regione con il più grande giacimento di idrocarburi d’Europa? In Norvegia, millecinquecento nuove assunzioni in un anno, stipendi da ottomila euro al mese, servizi efficienti. In una parola, welfare. In Guinea Equatoriale, picchi di crescita del Pil del sessanta per cento. In Basilicata, più disoccupazione, meno ricchezza e una terra distrutta. E un governo che autorizza trivellazioni sempre più intensive, senza salvaguardare il territorio.

In Basilicata si trivella ormai da più di vent’anni. Eppure, continua a essere una delle regioni più povere d’Italia, con uno dei tassi di disoccupazione più alti. Secondo Urbistat, il tasso di disoccupazione è del quindici per cento, e, tra i giovani, solo due su cinque hanno un lavoro. Il reddito pro capite è di poco più di tredicimila euro. Più del sette per cento dei lucani, però, guadagna meno di 650 euro al mese e il dodici per cento tra i 650 e gli 800 euro al mese. (Per continuare a leggere clicca qui sotto)

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