sabato 30 ottobre 2010

“Chi ha libri, ha labbra”


Nel trigesimo della morte del prof Alfonso Mascia

Caro prof,
te ne sei andato così all’improvviso che ancora non riusciamo a capacitarci.
La tua morte è stata così repentina da prenderci tutti di soprassalto.
La notizia della tua scomparsa, avvenuta in una fresca sera di settembre, appena si è diffusa in paese ha raggelato l’intera comunità. Ci ha presi tutti di sgomento, non foss’altro per la tragica fatalità con cui si è verificata. “Come ‘na fronna giallanute inte lu mese de nuvembre…s’è stuccat lu pedecine, e…”
È vero: la morte ama il silenzio. Essa rappresenta proprio la fase del passaggio: dalla parola al silenzio.
Ogni parola detta in più o in meno rischia solo di offendere la memoria… ma per prima il dovere e poi il ricordo mi hanno spinto a scrivere ed a lasciare questo pensiero per Te.

Tu, caro prof, sei stato il mio docente di italiano, per tre anni, al liceo classico. Con te ho viaggiato per circa 800 giorni, quotidianamente, salvo i periodi delle festività e quello delle vacanze. Non riuscirò mai a dimenticare questo periodo, come parimenti non riuscirò a scordare i tuoi “insegnamenti”, le tue battute, le tue perle di saggezza e di esperienza di vita vissuta che infondevi sia in classe, sia lungo il tragitto scolastico di andata e ritorno, sia negli altri momenti della vita.

Le lezioni di vita… quando nel dimostrare alla mia classe che non ero un “privilegiato” mi interrogasti per tre giorni di seguito e … le lezioni di studio… inteso quale unico ed imprescindibile veicolo per giungere alla cultura ed al sapere.
Non potrò mai accantonare il ricordo delle Tue “spiegazioni” della letteratura italiana, ed in particolare quelle riguardanti la “Commedia” di Dante, il Foscolo, il Manzoni, il Leopardi. Da profondo conoscitore ed acuto osservatore della realtà ti calavi nei panni di quei personaggi e ti immedesimavi nella lettura di quelle opere che – da docente – recitavi (mi facevi recitare!) e spiegavi, con spirito critico e con grande acume, ai tuoi alunni.
Oggi di tutto ciò non resta e non può che restare il ricordo. Ed a tal proposito rinvengo un passo da “I Sepolcri” del Foscolo: “…sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna…”.
E di eredità, in tutti i sensi, caro prof., a me ed a tanti di noi Tu ne hai lasciata eccome!

Ma i miei ricordi si estendono anche ed in particolare alla Tua attività teatrale – che hai fatto amare ai più – e di cui io, molto modestamente, ho vestito i panni di attore, di interprete e di spettatore delle varie opere andate in scena e raccolte nel volume “Fortore su il sipario!”: commedie e drammi con al centro la Valfortore, una terra trascurata ed emarginata, di cui “ti è sembrato giusto lasciare traccia della storia, della società e della vita di un territorio così negletto”.
E poi, in ultimo ma non da ultimo, il vocabolario!
“Il dialetto baselicese” la lingua scritta e parlata della tua gente, la gente del tuo paese che potrà avere testimonianza del suo vernacolo proprio grazie a Te, al tuo lungo e certosino lavoro di filologo.

Anche qui non potrò mai dimenticare quel trascorrere di lunghi e piacevoli momenti passati a “divagare” ed a ricercare il significato/i delle singole parole, del lemma, del verbo…
Il dialetto, il vernacolo baselicese, che – nel suo piccolo - possiede il fascino della musica … perché è capace di travalicare il mondo dei significati per fare spazio a quello dell’emozione.

“Chi ha libri… ha labbra”. Non so dire, in questo momento, di chi era questa citazione, ma ricordo che tu, mio amato prof, me lo hai ribadito spesso.

Salvatore Brancaccio

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