lunedì 29 marzo 2021

Don Carmine Iarossi, il difensore degli esclusi

di Angelo Iampietro

L’amico Antonio Bianco, titolare di questo blog, nei giorni scorsi mi ha fatto pervenire un messaggio, con il quale mi invitava a riproporre la nobile figura di monsignor don Carmine Iarossi, raccontando qualche aneddoto sulla sua vita. Già nell’aprile del 2019 ebbi a parlare dell’Arciprete di Baselice Iarossi e lo presentai ai lettori tramite questo mezzo di comunicazione, basandomi sui ricordi di vita vissuta, vicino alla sua persona, capace di raccogliere intorno alla sua missione apostolica, direi, l’intero popolo di Baselice.


La sua missione si espletò negli anni che vanno dal 1934, siamo in piena epoca fascista, all'autunno del 1958. Come ben si può capire, i primi otto anni sotto il regime fascista, dove, alla mancanza di libertà, si univa una miseria diffusa in ampie fasce della popolazione, la quale, insieme ad altre, dovrà tanto tribolare, sopportando una guerra inutile che causò distruzione, lutti e tanta miseria.

In quegli anni, ma anche dopo, egli fu molto vicino alla popolazione tutta, nonostante dovesse essere molto prudente nel suo agire per non essere incolpato di avversione al regime. Lui, sensibile ed umano, soffriva per i tanti disagi della popolazione, alla quale dava non solo consigli, ma la incoraggiava, dicendo: “Prima o poi il sole risorgerà”. Con la caduta del Fascismo e l’avvento della Repubblica, pian piano il sole comincia a splendere, allorquando si aprono le porte dell’emigrazione.

In prima persona si adopera presso le autorità perché fosse consentito l’espatrio a più di un giovane che, non avendo assolto agli obblighi di leva, non poteva emigrare. A tal riguardo, mi è stato riferito dalla stessa persona di quando fu accompagnato a Benevento dall’Arciprete per colloquiare con il Prefetto, per far sì che a questi venisse rilasciato il “nulla osta” per espatriare in Francia. Il Prefetto non era favorevole, perché il giovane non aveva assolto agli obblighi di leva. A questo punto il monsignore, perdendo la pazienza, disse a Sua eccellenza: “Le faccio presente che questo giovane, tornando a casa, non ha nemmeno un tozzo di pane da mangiare”. Le parole, per come erano state pronunciate, direi con foga, convinsero il Prefetto a consentire a costui di emigrare, rilasciandogli il “nulla osta”. 

La lotta politica dei primi anni della Repubblica fu, a volte violenta non solo a parole per contrapposizione politica tra i partiti filo- ecclesiastici e quelli laici “in primis” il Partito comunista italiano. La lotta era accesa e molti oratori, nei periodi elettorali, venivano a Baselice per indottrinare i simpatizzanti. La gente si riuniva in piazza, numerosa, per ascoltare le promesse, in gran parte, poi, mai mantenute. Una sera, mentre un oratore del Pci parlava in piazza Umberto, l’Arciprete, attraversando la folla, si diresse in chiesa e fece suonare le campane a distesa per disturbare l’oratore.

L’Arciprete, in quella circostanza, si mostrò non solo impulsivo, ma, abusò della veste talare. Era un combattente per le giuste cause e, se si pensa che la nostra comunità in quegli anni viveva ancora le antiche consuetudini, quando c’era da aiutare qualcuno o di schierarsi dalla sua parte, la sua umanità la spendeva tutta, non senza veemenza, senza guardare il colore dell’appartenenza politica, da vero pastore di anime.

Era una persona che riusciva a coinvolgere, con la sua cultura, con il suo dinamismo, con il suo profondo credere nella sua missione apostolica l’intera popolazione credente, avvicinando a sé ragazzi e giovani, i quali gli stavano vicino in tutto ciò che proponeva.

Trascorreva molte ore nel suo studio, adiacente la sacrestia, e, di tanto in tanto si affacciava sul terrazzino che dà su via Luigi Capuano, per dare un’occhiata ai tanti ragazzi che giocavano in strada (allora le auto si contavano sulle dita di una mano). Era una persona che guardava lontano per dare alla sua comunità la speranza di una vita migliore anche sulla Terra.

Si racconta della sua determinazione, allorquando, sapendo che un parlamentare della Democrazia cristiana avrebbe dovuto tenere un comizio a Baselice, egli lo aspettasse “alla prima pozzetta” (luogo sulla strada provinciale che porta a Benevento, da dove si vede l’intero panorama del paese sottostante) e che lì abbia detto all’onorevole di andar via, perché non era necessario che tenesse il suo comizio, in quanto non aveva fatto nulla per la nostra comunità. 

Come è noto quando c’era da lottare per un bene comune, non era molto diverso dal don Camillo di Guareschi. Il suo insegnamento non è stato cancellato e tanti, non più così giovani, l’hanno impresso nella mente, come pietra miliare.

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Nei giorni successivi alla pubblicazione dell'articolo su Iarossi ci è pervenuta una lettera dell'avvocato Paolo Mascia. Ecco il testo integrale

Egregio Professore Iampietro, salve.

Il suo presente articolo, sul dovere di ricordare chi ha fatto bene, schierandosi dalla parte dei più deboli quando ciò era pericoloso e non faceva "applausi mediatici", ma veniva fatto perchè si obbediva ad una coscienza personale, ed il suo rinvio al precedente articolo dell'aprile  2019, sempre sulla figura di quest'uomo buono, generoso e forte, Don Carmine Iarossi, che anche tante altre persone, a me direttamente, hanno sempre confermato essere stato tale (c'è chi conserva i piatti e pentole che don Carmine Iarossi gli donò appena sposato perchè non aveva nemmeno quelli, e si commuove raccontandolo) mi ha fatto ritornare alla mente il compianto Giovanni Iampietro, da tutti chiamato "l'argentino", che tanto si prodigò per mettere quel ceppo commemorativo all'interno del cimitero di Baselice, e che raccontava di aver ricevuto l'apprezzamento di tantissimi baselicesi per quella scelta, quasi l'unanimità. 

Certo Giovanni non ha fatto con ciò solo un'azione eroica straordinaria, ma una buona azione certamente si, di cui per sua sfortuna non ha potuto sentirsene soddisfatto, ulteriormente con questo suo articolo. Per questo va ora ricordata questa sua azione, sarebbe ingeneroso soprassedere.

Auguriamoci allora di fare sempre meglio e di non sprecare i sacrifici, le azione coraggiose, le conquiste, ma anche le comuni buone azioni, che ci consegna chi ci ha preceduto o che qualunque nostro contemporaneo copie, avendo cioè l'onestà intellettuale di dare onore al merito, riconoscere quanto di buono giornalmente si fa.

La tendenza alla denigrazione, soprattutto mediatica, è in modo impressionante alta, ma la tendenza al riconoscimento, soprattutto mediatico, dei meriti e risultati altrui è in calo permanente.

Per concludere c'è allora da ricordare l'insegnamento di Seneca, che in poche parole si può sintetizzare dicendo che l'invidia dei contemporanei riduce al silenzio gli uomini illustri per opere e azioni, ma che, trattandosi di Seneca, è sempre bene ripassare nella versione autentica ed estesa che segue. Buone cose allora Professore Iampietro ed altrettante buone cose al padrone di casa, Antonio Bianco.

Dal Libro 9 di Seneca lettere a Lucillo.

La gloria è l'ombra della virtù: la seguirà anche contro il suo volere. Ma come l'ombra a volte precede, a volte segue, oppure è alle spalle, così certe volte la gloria è davanti a noi, visibile, certe altre è dietro ed è più grande quanto più tardi arriva, una volta scomparsa l'invidia. Per quanto tempo Democrito fu considerato pazzo! A fatica Socrate divenne famoso! Per quanto tempo i concittadini ignorarono Catone! 

Lo respinsero e ne compresero il valore solo dopo la sua morte. L'integrità e la virtù di Rutilio non sarebbero emerse se non avessero subìto un'ingiustizia: l'oltraggio le fece risplendere. 

Non fu forse grato alla sua sorte e non accettò volentieri l'esilio? Parlo di uomini che la fortuna ha reso celebri mentre ne subivano le angherie: ma di quanti vennero alla luce i meriti solo dopo la morte! 

Quanti la fama non accolse subito, ma li trasse poi fuori dall'oblio! Vedi quanto è ammirato Epicuro non solo dai più dotti, ma anche dalla massa degli ignoranti! Eppure egli che viveva in disparte nei dintorni di Atene, in Atene stessa era sconosciuto. Molti anni dopo che Metrodoro era morto, celebrò in una lettera con un ricordo grato la sua amicizia con lui; alla fine aggiunse che, fra i tanti beni di cui avevano goduto, né per sé, né per Metrodoro era stato un danno che la celebre Grecia non solo non li avesse conosciuti, ma quasi non li avesse sentiti nominare. 

Non fu scoperto forse dopo la sua morte? Non rifulse la sua fama? Anche Metrodoro in una lettera confessa che lui ed Epicuro non erano abbastanza noti, ma che dopo di loro avrebbero ottenuto grande e immediata fama gli uomini che avessero voluto calcare le loro stesse orme. La virtù non rimane mai sconosciuta e l'essere stata sconosciuta non la danneggia: verrà il giorno che la riporterà alla luce dalle tenebre in cui era stata seppellita e compressa dall'invidia dei contemporanei. 

Chi si dà pensiero degli uomini del suo tempo, è nato per pochi. Seguiranno migliaia di anni, migliaia di generazioni: guarda a loro. Anche se l'invidia ridurrà al silenzio tutti i tuoi contemporanei, verranno i posteri a giudicarti senza risentimenti o compiacenze. Se dalla fama deriva un premio alla virtù, neppure questo andrà perduto. 

Non ci toccherà quello che i posteri diranno di noi; tuttavia ci onoreranno e ci celebreranno anche se non potremo sentirli. La virtù ricompensa tutti o da vivi o da morti, purché la seguiamo con lealtà, senza fregiarcene o adornarcene, ma rimanendo sempre gli stessi, sia che sappiamo di essere visti, sia che veniamo colti di sorpresa, impreparati. Fingere non serve; una maschera superficiale può ingannare solo pochi: la verità è uguale in ogni sua parte. L'inganno non ha solide basi. La menzogna è uno schermo sottile: se guardi con attenzione, è trasparente.

Stammi bene.




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