mercoledì 25 marzo 2020

Don Leonardo Lepore: "Funerali senza il conforto dei familiari, un dramma"

Don Leonardo Lepore
di Leonardo Bianco 

È arrivato (quasi) all'improvviso e in poche settimane ha travolto metà pianeta e anche il nostro Paese. E’ il covid-19. Un virus “intelligente e veloce nella diffondersi” come ha detto un amico medico. In meno di un mese ha cambiato le nostre abitudini. Ci ha costretto a cedere diritti. Ad una crisi sanitaria si aggiunge una grave crisi economica. Mutamenti che segnano il presente e (forse) il futuro. Un tempo in cui anche la spiritualità, la vita religiosa con i suoi riti si adegua agli avvenimenti. E su questo tempo difficile che stiamo vivendo abbiamo chiesto alcune riflessioni a don Leonardo Lepore, sacerdote e direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di Benevento.


L’Italia e il mondo occidentale in particolare stanno vivendo un momento tribolato. Mai così difficile dal secondo dopoguerra. Che momenti sono?
"Trovare una specifica definizione che descriva un mondo assolutamente imbrigliato in una fase di passaggio così critica, è oltreché difficile anche impossibile. Si possono fare delle distinzioni. Un conto è ciò che accade all’esterno; un conto è ciò che accade all’interno del “soggetto-uomo”. All’esterno c’è una grave crisi economica; una dittatura spietata della finanza; una crisi di intelligenze prestate alla politica; un pensiero indebolito e fiacco da un punto di vista etico; una spiritualità che appare come un pesce che fatica a respirare in poche dita d’acqua".

Uno scenario apocalittico.
"Con ciò non si vuole affatto apparire come profeti di sventura, essendo chiaro che c’è di fronte a tutto ciò anche un preciso contrappunto fatto di aspetti positivi e di speranze che possono fiorire e che si spera fioriscano prima possibile. Poi, ciò che accade all’interno. Qui il tema si sposta sull’individuo, sul suo mondo interiore, sull’intimo di ogni singola persona. Si aprirebbe evidentemente anche in questo rispetto un panorama fatto di tinte sia fosche, sia chiare. Tu parli di un momento, non si dovrebbe definire così – nel senso che momento fa riferimento all’attimo, ad un passaggio breve, di facile presa –, piuttosto si dovrebbe parlare di una vera e propria congiuntura storica, di un passaggio importante, di un paradigma che va spegnendosi in favore di qualcosa di nuovo, difficile da cogliere, ma che inizia a muoversi come un segmento embrionale".

Nella Bibbia, soprattutto nel Vecchio Testamento, si legge spesso di pestilenze e di carestie. Vengono addirittura presentate come castighi. Da sacerdote e studioso delle Sacre scritture pensi che, forse, ci siamo spinti un po’ (troppo) oltre?
"Il Dio biblico è il Dio dai mille volti. Nel testo sacro a pagine che trasmettono della divinità una serie di espressioni segnate dalla dolcezza, dall’amore, dalla bontà, si affiancano non raramente anche espressioni che stordiscono per una certa crudezza, parole di violenza, promesse di punizioni, castighi etc. Potrebbe essere utile leggere quei testi che fanno da introduzione al grande racconto del diluvio universale (Gn 6,5 – 9,17), dove l’inizio è drammatico: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni desiderio concepito dal loro cuore non era altro che male. Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo”. Credo che la Bibbia offra dei percorsi di riflessione non tanto destinati a spiegare l’origine del male, piuttosto ad indicare come si possa fronteggiarlo, come affrontarlo con spirito umano unito al sostegno divino. Se riflettiamo per un istante: a cosa serve dire che Dio castiga? Cosa dovrebbe castigare? Siamo noi peggiori di chi ci ha preceduti? Ma ogni generazione ha affrontato sofferenze, problemi, calamità… Non esiste generazione che non si sia sentita castigata". 

E dunque?
"La Bibbia ha una parola diversa: non serve indagare le cause di ciò che accade; serve trovare la forza per venire fuori da un presente affatto sereno. La Bibbia non risponde alla domanda: perché accade? La Bibbia ci aiuta a trovare una risposta alla seguente sollecitazione: cosa significa quello che sta accadendo? Cosa significa per me, per noi? Una pubblicazione di pochi anni fa, peraltro offerta da un docente della prestigiosa università di Oxford e pubblicato per i tipi della celebre Yale University Press [n.d.r. David M. Carr, Holy Resilience. The Bible’s Traumatic Origins, New Haven & London 2014], tenta di dimostrare come la Bibbia sia stato il testo che ha segnato – in periodi di grave crisi – il punto fondante per la ripartenza. Nelle difficoltà è stupido formulare accuse, si deve piuttosto scavare e riscoprire la forza per ricominciare, per eventualmente correggersi e, in ultima istanza, per capire cosa possiamo migliorare di noi e del nostro modo di vivere. Una tale forza abita nel fondo segreto delle parole sacre".

Nell'ultimo mese molte abitudini sono cambiate. Cambiamenti impensabili fino a qualche settimana fa. Anche la Chiesa si è adeguata a questa improvvisa trasformazione. Riti e celebrazioni annullati. Cosa succede?
"Succede che la Chiesa vive la storia degli uomini. Essa non è al di sopra degli eventi. È perfettamente incarnata nella società degli uomini, pur portando in un vaso di creta il “tesoro” della. In quanto incarnata, la Chiesa si attiene alle misure di prudenza e di intelligenza. La fede non è nemica del razionale e del ragionevole. Si crede con intelligenza. Ora, in questo periodo è un atto di prudenza, di intelligenza, quello di osservare determinate discipline al fine di proteggere gli altri. Credo che gli inviti del Papa in primis e dei vescovi in secundis siano segnati da prudente intelligenza e da intelligente prudenza".

Quali sono le sensazioni che un sacerdote sperimenta durante la celebrazione eucaristica, soprattutto di domenica e dei giorni festivi, quando celebra da solo, senza l’assemblea?
"In molti sacerdoti si respira un certo disagio. Ho ascoltato un amico che mi diceva: “fino ad oggi non mi era mai capitato di celebrare messa da solo!”. C’è dispiacere. C’è senso di solitudine. C’è percezione di un vuoto. La pesantezza dell’assenza. Il pastore è tale perché vive costantemente a servizio del gregge. Umanamente tutto ciò si spiega e si capisce. Molti sacerdoti avvertono un senso di dispersione e di solitudine. Tuttavia, c’è anche il rovescio della medaglia, nel senso che un tale responsabile isolamento abbia – credo – tanto da insegnare a noi preti. Insegna il silenzio, la concentrazione, convince nell’idea che non siamo delle rock stars, delle celebrità del sacro che possano andare in crisi se dinanzi non hanno un pubblico. Insegna che siamo servi della comunità, servi che si muovono con discrezione e quando necessario con spirito di riservatezza e in pieno nascondimento. Un confratello mi diceva: “passo giornate intere in Chiesa, prego per tutti; ho preso l’elenco dei parrocchiani e mi ricordo di loro, famiglia per famiglia".

La gente muore e se ne va senza poter ricevere l’ultimo conforto, nemmeno quello religioso. Senza nemmeno l’ultimo saluto della comunità parrocchiale.
"Questo è davvero drammatico. Ho celebrato due esequie da quando sono entrate in vigore le norme del governo. In un caso, quella signora accompagnata al cimitero non ha avuto nemmeno la presenza dei suoi figli perché due di essi erano rimasti bloccati al Nord, senza possibilità di scendere. Un dramma. Un vero e proprio dramma. I riti funebri in un certo senso ci offrono anche una possibilità di riconciliarci con l’idea della morte: pur lasciandoci nel dolore, ci aiutano a relazionarci ad essa con un afflato di speranza. Senza la mediazione del rito, si è soli doppiamente; si rimane ancora più tristemente muti dianzi al dolore e alla sofferenza".

La Chiesa beneventana come sta affrontando questo momento di difficoltà? Tra l’altro questo è il periodo più forte e più importante dell’anno liturgico.
«Debbo dire e dare risalto ad alcuni aspetti che mi sembrano positivi ed anche importanti. Il nostro arcivescovo ci ha indirizzato una lettera breve ed intensa. Non ci ha fatto mancare parole di incoraggiamento ed espressioni di vicinanza. Sto accompagnando in questo periodo una comunità di monache di clausura stretta. Ogni volta che vado lì apprezzo la forza di quella preghiera. C’è un modo di essere vicini che è appunto quello spirituale, di chi prega, di chi condivide le ansie e le preoccupazioni. C’è un mondo vivido, palpitante, che non fa chiasso e non cerca la ribalta a tutti i costi… eppure sostiene, prega, spera. Ci sono famiglie che si riuniscono recitando il rosario e che alla domenica si ritagliano un momento per leggere le letture offerte dalla liturgia. A me tutto questo insegna e dice tanto".

Che Pasqua sarà?
"Una di quelle dove ci sforzeremo di gustare le cose essenziali. Dove, pur a malincuore, ascolteremo la lezione di chi ci invita ad accontentarci di poco e a mettere allo stesso tempo il cuore nella gioia".

Prima di lasciarti, provo a chiederti: come stai vivendo questa situazione? Lontano dai tuoi affetti familiari?
"Siamo in isolamento alla casa del clero di Benevento in sei sacerdoti. In piena solitudine. Gli affetti più cari sono a casa. Abbiamo imparato a fare il bucato, a cucinare, a stirare. Ti lascio immaginare con quali risultati… Impariamo giorno per giorno a non sprecare e ad accontentarci di quello che c’è. Il più anziano, che ha superato gli ottant’anni, spazza e lava i corridoi. Ci sono quotidianamente scene simpatiche. Impariamo anche a volerci bene e a superare, ridendo di noi, quelle incomprensioni che solitamente si determinano quando si vive in spazi ristretti. Ogni giorno celebriamo la messa, poi dedichiamo circa due ore all’adorazione eucaristica, abbiamo un ricordo per tutti. Ci sentiamo disarmati di fronte a tutto ciò che accade nel mondo; eppure, speranza e fiducia non ci abbandonano: il Signore non ci farà mancare il suo sostegno e la sua vicinanza".

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