di Angelo Iampietro
San Vincenzo è una delle contrade del territorio di Baselice; è ubicata nella parte ovest, confinante con quelle di Porcara, Pietramonte, San Felice. Gran parte della sua superficie è boschiva, costituita da cerri; è un bosco ceduo, che, generalmente, viene tagliato ogni venti anni, data la repentina crescita delle piante per le favorevoli condizioni ambientali e per la natura stessa del terreno, costituito, al di sotto dello strato di humus, da roccia calcarea, che consente un buon drenaggio delle acque piovane.
Mi veniva raccontato che negli anni bui dell’economia baselicese, anni ’30-’40 del secolo scorso, alcuni poveri, per procurarsi la legna necessaria per scaldarsi d’inverno, si recavano nei boschi di San Vincenzo; essi raccoglievano il seccume, trasportandolo sulle proprie spalle dal bosco al paese; il carico era costituito, per lo più, da due fascine di tronchi o rami, trasportati in questo modo: la persona si caricava sulle spalle una delle due fascine, percorreva un tratto di strada, dopo di che, lo depositava sul ciglio della mulattiera e ritornava indietro per riprendere quella lasciata indietro.
Si caricava di quest’ultima, per portala dove aveva poggiato
l’altra, per poi riprendere il cammino. Tutto questo andirivieni veniva rifatto
per l’intero percorso. Faccio immaginare al lettore la fatica a cui erano
sottoposti quegli uomini, ma anche talvolta le donne, per avere d’inverno di
che ardere nel camino per scaldarsi.
Faccio
presente che dal paese alla contrada indicata, andando a piedi, si impiegavano circa
due ore. Su ciò è bene riflettere per non disperdere quel patrimonio di
conoscenze che ci sono state lasciate dai tanti che tanto hanno sofferto.
È questo un territorio ricco di sorgenti con più fontane, dove l’acqua veniva incanalata. Quest’acqua, insieme a quella proveniente da “Lu lave” davano origine, scorrendo, al vallone di San Vincenzo. “Lu lave” fu fatto realizzare con sbarramento, su una superficie concava, sul lato nord dai feudatari Ridolfi nei primi anni del 1600.
Lungo il corso del vallone, sotto le masserie delle
famiglie Canonico “li Marcune” vi erano dei mulini, alimentati sia dalle acque
provenienti da “lu Lave”, sia dalle sorgenti, cui si faceva cenno. Attualmente,
a stento, si possono localizzare gli insediamenti di detti opifici, perché le
intemperie e le piene del vallone hanno cancellato ogni insediamento. Detti
mulini dovevano soddisfare la macinatura di grano, di granone e di sfarinati per
buona parte della comunità baselicese, ma, credo, anche di altre comunità
confinanti con l’agro baselicese.
Nel
nostro territorio esisteva un altro mulino alimentato ad acqua, denominato “lu
muline abbasce”; era ubicato non lontano dal corso d’acqua del torrente Cervaro,
prima che questo confluisse nel fiume Fortore; si trovava sul lato destro in direzione
Est. Esso è di proprietà della famiglia
Barbato, ma non ne conosco lo stato di conservazione.
Tra le sorgenti presenti nella contrada San Vincenzo ve n’è una da cui sgorga l’acqua solfurea. Le sue acque, sin dall’antichità, fino alla metà del secolo scorso, erano conosciute per i suoi effetti benefici, attinenti le affezioni cutanee. Il dottor Carusi, medico baselicese, vissuto nell’Ottocento, conoscendone le qualità curative, da attento studioso, ne faceva uso terapeutico per i suoi pazienti.
A tal riguardo ricordo a tutti che i fratelli Carusi, l’uno medico,
l’altro studioso di scienze naturali, fecero dono al Comune di Baselice di una
vasta biblioteca, con testi unici, talvolta richiesti, per consultazione, da
prestigiosi Atenei. Prima che i tomi venissero allocati nell’attuale biblioteca
comunale “Fratelli Carusi”, nella sede del Comune, si trovavano nei locali
dell’asilo infantile “Don Giovanni Virgilio”, dimora delle suore in via Borgo e
di una Scuola per l’Infanzia, di cui si prendono cura. I tomi furono
trasportati nella sede del Comune agli inizi degli anni ’60.
Ricordo ancora che, con generosità, i fratelli Carusi, da veri mecenati, stabilirono, con testamento, che con i loro beni e le risorse da questi derivanti venisse istituita la scuola del Ginnasio. Essa fu realizzata con l’intestazione di “Ginnasio Carusi”. Nel testamento è esplicitato che il Comune (beneficiario del testamento) non avrebbe potuto utilizzare i fondi per altri settori della vita pubblica, pena la perdita di quanto donato.
Ricordo che il Ginnasio, tre anni
di scuola, dopo la scuola elementare, corrisponderà al corso di studio della
Scuola Media. Una grande conquista culturale, poi persa nel tempo, credo, ma
non solo, per insufficienti risorse finanziarie. Si è nei due decenni del 1900.
Ritornando
all’accenno della sorgente di acqua solfurea, a mio modesto giudizio, essa, con
un’adeguata politica atta allo sviluppo del territorio, avrebbe potuto
costituire un luogo, come tanti altri in Italia, per cure termali, ma anche,
con la realizzazione di alcuni itinerari per far immergere il visitatore in una
natura incontaminata e varia. Non lontano da questa estesa oasi di verde, del
resto anche protetta, sorgono delle installazioni di pali eolici, che rendono
il paesaggio meno ameno di un tempo.
(Nella foto il rudere di un mulino, si ringrazia don Angelo Iampietro per averla messa a disposizione di questo blog)
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